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 Home page > Tribuna Libera > Obama Premio Nobel per la menzogna

Obama Premio Nobel per la menzogna

A Barack Obama dovevano assegnare il Premio Nobel per la menzogna, non quello per la pace (che pure era già screditato perché assegnato a molti famosi assassini e guerrafondai): ha avuto il coraggio di avallare le spudorate tesi di Israele sulla “guerra difensiva” e le uccisioni di civili come “danni collaterali” dovuti per giunta alla “ostinazione” di Hamas a mettere le armi tra la popolazione, nonostante il fuorionda di Kerry avesse rivelato che i capi degli Stati Uniti sapevano bene di che si trattava, e che i missili israeliani colpivano deliberatamente la gente comune che non sapeva dove andare.

Nella parte centrale la fascia di Gaza è larga solo 6 km, di cui 3 fatti sgomberare dall’esercito israeliano. Non sono i missili ad essere nascosti tra la gente, è la gente che, scacciata ancora una volta dalle proprie case, è costretta ad ammassarsi dove può, finendo anche vicino alle poche armi rudimentali di cui dispone il legittimo governo di Gaza.

Vergognoso il coro di esecrazione sia per i surrogati di “missili”, poco più che fuochi d’artificio (e che infatti hanno provocato meno morti e danni di quanti ce ne siano in molte città italiane per ogni fine d’anno), e per i “tunnel”. Possibile ignorare che chi è rinchiuso in un carcere ha il dovere di cercare di aprirsi un varco? E Gaza è un carcere a cielo aperto, una grande “Guantanamo”.

La maggior parte dei tunnel, soprattutto a sud, al confine con l’Egitto, non servivano a scopi militari, ma a rompere l’assedio. D’altra parte i pretesti addotti un giorno sono presto dimenticati il giorno dopo. Si rompe la tregua per il presunto “rapimento” (cioè cattura) di un ufficiale dell’esercito aggressore, e poi si scaricano migliaia di tonnellate di bombe su una vasta zona, per impedire che sopravviva e possa essere oggetto di scambio con le migliaia di palestinesi catturati (cioè, questi sì, rapiti). E dei tre sventurati uccisi durante un rapimento (non da Hamas) e usati da Israele per giustificare l’inizio di un attacco preparato da tempo, nessuno ha più parlato.

Si ha il coraggio di lamentare che i palestinesi hanno avuto la scorsa notte la forza di lanciare ancora 84 “missili” (cioè i petardi sparati solo per dimostrare la volontà di rifiutare la resa) mentre nello stesso tempo arrivano sulle macerie di Gaza decine di migliaia di proiettili e missili teleguidati ad alta tecnologia (pagati per giunta direttamente o indirettamente dagli Stati Uniti e da altri paesi complici dei massacratori di un popolo, Italia compresa).

Invece di fermare le consegne di armi a questo spaventoso “Stato canaglia”, di gran lunga il peggiore di quanti siano stati definiti così in questo mezzo secolo tanto cruento, l’irresponsabile primo ministro italiano, il sorridente Renzi, è andato a omaggiare il dittatore al Sisi, forse anche per ignoranza di come sia stato costruito il suo potere. Vantandosi che l’Italia è il primo paese europeo andato alla corte del tiranno.

La fascia di Gaza, da cui non è mai stato interrotto lo stato d’assedio e il controllo feroce per affamarla, bloccando a cannonate la pesca, distruggendo acquedotti e pompe per l’irrigazione, oltre che le poche colture possibili in un territorio così sovrappopolato (con il metodo usato nel resto dei Territori Occupati, quello dello sradicamento di oliveti e agrumeti, o l’interruzione dell’accesso ai frutteti fino a quando la frutta è marcita sugli alberi), è abbandonata non solo dall’Egitto, ma da tutti i regimi dell’area, tutti in varia misura succubi degli Stati Uniti, complici e mandanti dei crimini.

Ma questi dovranno fare i conti con la rabbia di popolazioni che non condividono la politica dei loro governanti Quisling. Prima o poi al Sissi farà la fine di Sadat, tanto più facilmente perché a differenza del suo predecessore le uniche battaglie che ha combattuto sono contro il popolo egiziano, che ha già protestato in luglio duramente contro gli aumenti dei prezzi dovuti a un ennesimo aumento delle spese militari a scapito dei già ridotti servizi sociali.

E Israele non può essere tranquillo sul suo futuro. L’occupazione della metà di Gaza ha impegnato 86.000 soldati, uno ogni 20 abitanti disarmati, 17 volte più dei 5.000 eroici combattenti palestinesi, senza riuscire ad ottenere nulla, se non l’aumento dell’odio in tutta l’area, e anche in altri continenti. L’amicizia di governanti cinici e corrotti non lo salverà. E tutti quelli che ragionano con la loro testa capiscono, anche in Israele, che se una simile mostruosa sproporzione di forze e di armamenti non porta a risolvere nulla, vuol dire che Hamas non è isolata dalla popolazione, non regna con la forza su di essa, ma anzi in questa guerra ha conquistato una popolarità crescente, anche nella Cisgiordania occupata, in cui continuano e si moltiplicano le manifestazioni e le proteste (e anche i morti, sotto il piombo israeliano e dei poliziotti palestinesi addestrati da un generale USA).

Come tutte le organizzazioni di massa, Hamas recluta in parte grazie all’ideologia, ma anche e soprattutto grazie ai servizi sociali che offre alla popolazione, in tempi normali. Ma tutti capiscono che la tenacia con cui viene combattuta con fatui e menzogneri pretesti proprio mentre cerca di superare la scissione e ricomporre la frattura con l’OLP, è legata ai suoi meriti e alla sua tenacia, non alle sue idee. Hamas è nata come organizzazione militante dal ramo palestinese dei Fratelli Musulmani nel 1987, insieme alla prima Intifada, che non aveva promosso ma di cui si fece interprete. A facilitarla era stato il discredito della direzione dell’OLP, corrotta e succube delle promesse degli Stati Uniti. L’OLP aveva da tempo rinunciato alla lotta armata, e aveva abboccato all’amo del cosiddetto “processo di pace di Oslo”, che sarebbe presto risultato vuoto e truffaldino. Non è possibile sradicare Hamas a cannonate, anche se ci sono cento cannoni israeliani di fronte a un mitra palestinese. A rafforzare Hamas ci pensa la debolezza e viltà di Mahmud Abbas, appeso ai regimi arabi collaborazionisti e retrogradi che lo sostengono.

Non possiamo esitare nel difendere la resistenza palestinese, anche se è stata portata avanti sempre più da forze islamiste e non laiche come era la prima direzione dell’OLP. Ma non dimentichiamo che è cresciuta anche in collaborazione con quanto rimane (sia pur indebolita dai suoi errori del passato) della sinistra del FPLP e FDLP, organizzazioni laiche ed anzi con dirigenti di origine cristiana. Questo prova ancora una volta che la forza di Hamas è nella tenacia della sua resistenza all’oppressione, non nell’ideologia.

In ogni caso il futuro dipende anche dal rafforzarsi di una tendenza di opposizione in Israele. Non solo la piccola ed eroica opposizione marxista, ma anche quella di cui abbiamo voluto documentare – pubblicando sul sito l’articolo di Shlomo Sand - le idee contraddittorie e l’ingenuità della soluzione auspicata, ma che testimonia che esiste in Israele chi capisce che l’attuale politica di Nethanyau porta il paese in un precipizio, oltre a screditarlo moralmente in modo irreparabile.

 

Foto: The Searcher/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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