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Nuove Brigate Rosse: Davanzo inneggia alla rivoluzione

A Milano inizia il processo bis ai componenti dell’organizzazione armata comunista. E da dietro le sbarre, il leader invoca la rivoluzione. Strappando qualche applauso… 

"Questo è il momento buono per la rivoluzione, solo con le armi si sovvertono i poteri ed i regimi". L’affermazione è di quelle che fanno rizzare i capelli, soprattutto ove si considerasse che la stessa viene resa in un’aula di tribunale gremita, in cui sta per celebrarsi un processo che dovrebbe tendere all’accertamento della verità ed alla realizzazione della giustizia.

Claudio Latino, Vincenzo Sisi ed il presunto capo della banda armata Alfredo Davanzo, ai quali vengono contestati gli omicidi dei giuslavoristi D’Antona e Biagi, gridano tutta la loro rabbia e la loro ideologia eversiva.

Rinunciano al diritto di difesasi dichiarano prigionieri politici: le parole sembrano quelle di un copione preconfezionato, volto a costruire una sorta di alone mistificatorio intorno agli imputati che vantano una discreta carriera criminale (tra le imprese, anche diverse rapine a mano armata).

Condividono l’attentato a Roberto Adinolfi, manager di Ansaldo Nucleare: in un momento simile c’era da aspettarselo. Sperano in una rivoluzione cruenta, fatta di sangue e pallottole in perfetto stile bierre. La violenza delle espressioni lascia spazio ad un’immaginazione che è figlia del ricordo e della storia di uno dei periodi più bui della storia d’Italia perché anche oggi come allora il conflitto c’è, e la tensione è palpabile. E per alcuni, come i brigatisti, l’unica risposta possibile è quella della lotta armata, unico antidoto all’overdose di capitalismo che ha devastato il mondo occidentale.

Claudio Latino parla addirittura di “strategia necessaria“, perché nessun oppressore abbandona il comando se non con l’uso della forza. Il modo di pensare è lo stesso che abbiamo imparato a conoscere dai resoconti giornalistici dell’epoca, lo stile però appare un po’ meno ideologizzato e più attento all’aspetto comunicativo, quasi volto ad una visibilità (prontamente censurata da alcune tv, n.d.r.) che prova a trovare sostegno nel popolo vessato dal governo delle banche.

Verrebbe da chiedersi a chi possa servire questa tanto sbandierata “strategia necessaria” iniziatasi a concretizzare, a loro modo di dire, con l’attentato Adinolfi (che però, ad onor del vero, un attentato non è: su tre colpi esplosi, solo uno è andato a centro). Non certo alla famigerata rivoluzione, perché l’agguato al manager genovese ha sortito l’unico effetto di aver fatto invocare alla numero uno del Viminale, Annamaria Cancellieri, l’intervento dell’Esercito a tutela degli obiettivi sensibili, ed aver aperto la strada ad una serie di possibili interventi liberticidi ispirati da uno stato di necessità ed urgenza corroborato da siffatte dichiarazioni, minacciose per l’ordine costituito.

E tra il pubblico, numerosi i cori a sostegno degli imputati, una fila di manifestanti indossavano magliette con la scritta “solidarietà”, al grido di “liberi tutti”.

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