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Non si può restare in silenzio: aboliamo le feste nei comuni mafiosi

L’Arcivescovo di Agrigento, don Franco Montenegro, ha proposto di abolire le feste religiose in quei comuni dove si contano omicidi.

Non si può restare in silenzio: aboliamo le feste nei comuni mafiosi

Avvio questa mia riflessione dalle parole di don Franco: “Abolire feste religiose dove si contano omicidi”. Mi ha colpito molto questa frase, all’interno della lettera che l’Arcivescovo di Agrigento ha inviato ai presbiteri di Favara perché, a mio avviso, messaggi così forti meriterebbero reazioni e conseguenti interventi, altrettanto forti, da parte di tutti gli attori socio-politici agrigentini.

Una frase che dovrebbe indurci a trovare il coraggio di denunciare l’accidia che è il principale peccato della nostra terra. Non è possibile, infatti, che qualunque cosa accada difficilmente produce reazioni come se fossimo tutti “addummisciuti”. Oggi la provincia di Agrigento gode di due grandi opportunità: il Prefetto ed il Vescovo. Due chances che non possiamo sprecare se, grazie a queste personalità, nonostante tutto, incomincia ad intravedersi qualche barlume di atteggiamento positivo come quello del provare indignazione.

Vero è che ancora siamo troppo lontani dall’essere liberi dal bisogno. Prima vi era una politica, che i meridionali subivano, che voleva il nord industrializzato ed il sud “assistito”. Ci si erano inventati dei veri e propri "ammortizzatori sociali" (istituiti secondo logiche che si possono anche biasimare). Oggi i "beneficiari del potere" sono un numero sempre più ristretto di persone. Tutti gli altri – specialmente nella nostra provincia - costretti a “sopravvivere” in quella che è la provincia più marginalizzata d’Italia. 

La crisi economico-sociale che stiamo vivendo, determina anche un facile reperimento di "risorsa umana" da parte di quell’industria - mai in deficit - che è la mafia spa.

Ed allora ci dobbiamo dare uno scossone, dobbiamo a chiare lettere dire che la malavita “ dopa" il mercato, che la malavita uccide la speranza. Varcare la soglia della speranza ammoniva il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, facciamolo anche noi. Con tenacia, con convinzione ma soprattutto stringendoci attorno a chi i messaggi chiari e forti li sa mandare, Arcivescovo in testa.
 

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