• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > No Tav: la Marcegaglia che ti aspetti

No Tav: la Marcegaglia che ti aspetti

Fra le persone che nel corso della propria carriera hanno sproloquiato a vario titolo in merito all'alta velocità in Val di Susa, non poteva certamente mancare il leader dei "prenditori" d'accatto Emma Marcegaglia, intervenuta oggi all'assemblea dell'Unione industriale di Torino.
 
La Presidente di Confindustria, perennemente alla ricerca di contributi statali, attraverso i quali socializzare le perdite, ha dichiarato con piglio autoritario "Quando sento che per un’opera come la Tav si è creata “la libera Repubblica de La Maddalena”, dove circa 150 persone bloccano l’avvio dell’opera e l’apertura dei cantieri, penso che non sia degno di un Paese civile".
Ritenendosi in tutta evidenza titolata a stigmatizzare quello che non conosce, dimenticando che in un "Paese civile" lei e la congrega d'imprenditori che le fanno seguito, sarebbero stati mandati da tempo a lavorare sul serio, anziché "vivere alla grande" sulle spalle dei contribuenti italiani, di cui (sui numeri la buona Emma è stata male informata) le decine di migliaia di valsusini che si oppongono al TAV fanno purtroppo parte......
 
Non soddisfatta della sua prima esternazione, la Marcegaglia ha poi aggiunto "Il ripristino della legalità vuol dire far accettare le leggi dello Stato ovunque. Che nel civilissimo Piemonte ci sia un’area “off limits” è qualcosa di inaccettabile. E non commento il fatto che la Fiom abbia espresso solidarietà a queste persone".
 
Dando sfoggio di un senso dell'ironia che non sospettavamo appartenerle, dal momento che legalità e leggi dello Stato sono parole con le quali la confraternita da lei capitanata ha assai poca dimestichezza, ovunque e in qualunque contesto si trovi ad "operare" nel paese.
 
La critica alla Fiom, per aver dato solidarietà ai cittadini che lottano per i propri diritti (da lei definiti con spregio "queste persone") è poi un chicca di quelle da custodire gelosamente, nel novero delle bestialità esperite nel corso della sua fulgida carriera.
 
Anche se portata da chi, come lei, fa parte della platea che ha tributato applausi all’ad della Thyssenkrupp, condannato nel processo, per il rogo nello stabilimento di Torino che costò la vita a 7 lavoratori, finisce per suonare come un complimento.

Commenti all'articolo

  • Di Mauro Miccolis (---.---.---.251) 21 giugno 2011 10:03
    Mauro Miccolis

    Per i promotori si tratterebbe di un progetto “strategico”, del quale l’Italia non può fare a meno, sembra che senza quel supertunnel ferroviario di oltre 50 km di lunghezza sotto le Alpi, l’Italia sia destinata a un declino epocale, tagliata fuori dall’Europa.
    Chiacchiere senza un solo numero a supporto, è da vent’anni che le ripetono e mai abbiamo visto supermercati vuoti perché mancava quel buco. I numeri invece li hanno ben chiari i cittadini della Valsusa che costituiscono un modello di democrazia partecipata operante da decenni, decine di migliaia di persone , lavoratori, pubblici amministratori, imprenditori, docenti, studenti e pensionati, in una parola il movimento “No Tav”, spesso dipinto come minoranza facinorosa, retrograda e nemica del progresso. Numeri che l’Osservatorio tecnico sul Tav presieduto dall’architetto Mario Virano si rifiuta tenacemente di discutere….. Proviamo qui a metterne in luce qualcuno. Il primo assunto secondo il quale le merci dovrebbero spostarsi dalla gomma alla rotaia è di natura ambientale: il trasporto ferroviario, pur meno versatile di quello stradale, inquina meno. Il che è vero solo allorché si utilizza e si migliora una rete esistente. Se invece si progetta un’opera colossale, con oltre 70 chilometri di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, talpe perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, si scopre che il consumo di materie prime ed energia, nonché relative emissioni, è così elevato da vanificare l’ipotetico guadagno del parziale trasferimento merci da gomma a rotaia.
    I calcoli sono stati fatti dall’Università di Siena e dall’Università della California. In sostanza la cura è peggio del male. Veniamo ora all’essere tagliati fuori dall’Europa: detto così sembra che la Val di Susa sia un’insuperabile barriera orografica, invece è già percorsa dalla linea ferroviaria internazionale a doppio binario che utilizza il tunnel del Frejus, ancora perfettamente operativo dopo 140 anni, affiancato peraltro al tunnel autostradale.
    Questa ferrovia è attualmente molto sottoutilizzata rispetto alle sue capacità di trasporto merci e passeggeri, sarebbe dunque logico prima di progettare opere faraoniche, utilizzare al meglio l’infrastruttura esistente. Lyon-Turin Ferroviarie a sostegno della proposta di nuova linea ipotizza che il volume dell’interscambio di merci e persone attraverso la frontiera cresca senza limiti nei prossimi decenni. Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino dimostra che “assunzioni e conclusioni di questo tipo sono del tutto in-fondate”. I dati degli ultimi anni lungo l’asse Francia-Italia smentiscono infatti questo scenario: il transito merci è in calo e non ha ragione di esplodere in futuro.
    Un rapporto della Direction des Ponts et Chaussées francese predisposto per un audit all’Assemblea Nazionale nel 2003 afferma che riguardo al trasferimento modale tra gomma e rotaia, la Lione-Torino sarà ininfluente. E ora i costi di realizzazione a carico del governo italiano: 12-13 miliardi di euro, che considerando gli interessi sul decennio di cantiere portano il costo totale prima dell’entrata in servizio dell’opera a 16-17 miliardi di euro. Ma il bello è che anche quando funzionerà, la linea non sarà assolutamente in grado di ripagarsi e diventerà fonte di continua passività, trasformandosi per i cittadini in un cappio fiscale.
    Ho qui sintetizzato una minima parte dei dati che riempiono decine di studi rigorosi, incluse le recenti 140 pagine di osservazioni della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone, dati sui quali si rifiuta sempre il confronto, adducendo banalità da comizio tipo “i cantieri porteranno lavoro”. Ma suvvia, ci sono tanti lavori più utili da fare! Piccole opere capillari di manutenzione delle infrastrutture italiane esistenti, ferrovie, acquedotti, ospedali, protezione idrogeologica, riqualificazione energetica degli edifici, energie rinnovabili.
    Non abbiamo bisogno di scavare buchi nelle montagne che a loro volta ne provocheranno altri nelle casse statali, altro che opera strategica! Seguendo lo stesso criterio, anche l’Expo 2015 di Milano sarebbe semplicemente da non fare, chiuso il discorso. Sono eventi che andavano bene cent’anni fa. Se oggi in Italia tanti comitati si stanno organizzando per dire “no” alle grandi opere e per difendere i beni comuni e gli interessi del Paese, non è per sindrome Nimby (non nel mio cortile), bensì perché, come ho scritto nel mio “Prepariamoci” (Chiarelettere), per troppo tempo si sono detti dei “sì” che hanno devastato il paesaggio e minato la nostra salute fisica e mentale.


Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares