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Nella tenaglia tra turbocapitalismo e radicalismo terrorista

Bene, finalmente qualcuno l’ha detto: «i terroristi non sempre vengono dai ceti diseredati, non appartengono ai “dannati della terra”».

Parole di Giovanni Belardelli, sul Corriere: Una lettura solo economica del terrorismo è sbagliata, la religione resta centrale

La lettura terzomondista è di fatto rimasta indietro di decenni, appunto al Fanon dei “dannati della terra”, anche se si è ormai scoperto che gli attentatori di Dacca, dove sono morte venti persone fra cui nove italiani, appartenevano alla buona borghesia del Bangladesh, che fra i terroristi di Parigi c'erano immigrati di seconda o terza generazione usciti da famiglie del ceto medio francese o che i terroristi delle Torri Gemelle (al netto delle dietrologie alla Giulietto Chiesa) erano esponenti della buona società egiziana e saudita.

Nonostante ciò «è come se fossimo rimasti tutti discepoli di Marx e della sua idea che ideologie e religioni (dunque anche il fondamentalismo islamista) appartengono al mondo della “sovrastruttura”, laddove invece le cause vere dei fenomeni sociali e della storia in generale andrebbero cercate altrove, a livello della “struttura”, cioè dei rapporti sociali di produzione e, in sostanza, dell’economia».

Ottica distorta, scrive Belardelli, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia, oltre che firma del quotidiano milanese; distorta dalla logica propria del mondo occidentale che ha posto l’economia al centro del suo stesso essere e che «che ha reso un luogo comune l’idea che la religione sia il regno dell’illusione e della mera apparenza, quando non della superstizione».

Se è vero che secondo Marx “la critica della religione” doveva essere considerata «il presupposto di ogni critica», è noto che lo stesso filosofo tedesco liquidò molto velocemente la millenaria questione dell’alienazione religiosa spostando il centro del proprio interesse sui temi che considerava (erroneamente) “strutturali”; cioè quelli strettamente economici. Rivelando così la propria contiguità con quella stessa civiltà occidentale razionalista - ma in modo carente di intelligenza - che andava criticando.

Già alla fine degli anni Settanta lo psichiatra Massimo Fagioli ammoniva: «Può essere terribile supporre quanti guai storici possono essere derivati da questo liquidare brevemente quanto invece richiedeva una resistenza e un lavoro ben più lungo e duro», proponendo di "leggere" in modo assolutamente nuovo il rapporto tra percezione cosciente e dinamiche inconsce (fino ad allora gestite dalle religioni) che riassumeva nel suo Bambino, donna e trasformazione dell'uomo, oggi più che mai attuale.

Contraddicendo la storiografia marxista (e anche, solo un po', me stesso) va invece ammesso che è proprio la “religione”, nelle vesti dell’interpretazione più violentemente cieca dell’Islàm radicale, che torna a farsi carico dell’anticapitalismo. Cioè della ribellione alla fredda razionalità del calcolo e della tecnica, forte del messaggio universalista della religione islamica, tanto quanto altrettanto forte e altrettanto violento era stato il messaggio universalista del cristianesimo nei secoli passati (o ci siamo scordati crociate, guerre di religione, roghi di streghe, stermini di eretici e di ebrei, annientamento di interi popoli in nome di una presunta “civiltà cristiana” da esportare ovunque nel mondo?).

Così siamo rimasti tutti ingabbiati nel pantano di guerre portate in nome di una democrazia anch’essa da esportare ovunque nel mondo per lottare contro il Male (salvo poi ammettere che Blair e Bush erano “solo” una coppia di ignobili bugiardi, fatui sterminatori a sangue freddo) e di una contropartita islamica brutalmente assassina non per “fame e povertà”, come vorrebbe qualche ingenuo neoguevarista, ma perché ideologicamente determinata a superare il modernismo occidentale riportando il mondo ai secoli bui dell’oscurantismo più retrivo.

La modernità della tecnica e la logica del calcolare erano il nemico numero uno di un certo Martin Heidegger sul quale molto è stato scritto negli ultimi mesi. Ma il superamento di quella modernità capitalista può diventare una prassi drammaticamente sanguinaria se non lo si fa mantenendo intatta la propria umanità: i campi di sterminio nazisti ne sono stati l’emblema più agghiacciante.

«Il fondamentalismo islamico si presenta così come l’ultima, e in un certo senso al momento unica, ideologia radicalmente anticapitalistica e antioccidentale», scrive ancora Belardelli; ed è per questo motivo che certa sinistra radicale ha cinguettato molto a lungo, fin dai tempi della rivoluzione khomeinista, con il radicalismo islamico più intransigente rendendosi di fatto complice, sulle tracce di René Guenon, dei suoi successivi misfatti.

Forse pentendosene, oggi non vede altro che il finto francescano (in realtà un vero gesuita, "un po' furbo" per sua stessa ammissione) per aggrapparsi ad una proposta politica "misericordiosa", avendo perduta ogni capacità di delineare progetti laicamente autonomi.

Opporsi allo spietato turbocapitalismo globalizzato senza cadere nella religiosità (potenzialmente e, spesso, realmente più sanguinaria) richiede «una resistenza e un lavoro ben più lungo e duro», quindi una elaborazione culturale innovativa, senza la quale non si esce dalla tenaglia che sta stritolando questo nostro mondo contemporaneo.

Non sono scherzi.

 

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