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Presidente ANM Campobasso: "Molise, una Regione di frontiera"

Il presidente dell’Anm, per il distretto di Campobasso, Rossana Venditti (nella foto): “il Molise è una frontiera, soprattutto, per quello che riguarda l’infiltrazione economica, l’infiltrazione dei capitali illeciti. Dobbiamo conservare un’attenzione sempre vigile su questo aspetto. Questo tipo di infiltrazione criminale richiede livelli di professionalità elevatissimi”.

“Questo è un regalo per chiunque delinque e ovviamente per le organizzazioni criminali. In realtà è un’agevolazione per chiunque delinqua e commette reati per i quali attualmente è prevista un’attività di intercettazione. Già oggi la legge è rigorosa nel discriminare le ipotesi. Si è parlato frequentemente di abusi. Gli abusi sono una patologia. Si interviene in maniera demolitiva sullo strumento”. In questo modo si è espresso il pubblico ministero della Procura di Campobasso Rossana Venditti. Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati per il distretto di Campobasso ha affrontato diverse questioni: dal disegno di legge sulle intercettazioni alle infiltrazioni della criminalità organizzata in Molise (“E’ un argomento – secondo l’ex presidente della Commissione Antimafia Lumia – la presenza delle mafie nella vostra Regione, con cui dovete fare i conti”), dai problemi della giustizia molisana alla libera stampa.

La decisione del Governo di mettere mano alle intercettazioni ha scatenato diverse e legittime critiche. Molti, dall’Anm ai giornalisti, dai magistrati agli editori, dagli scrittori ai cittadini, hanno contestato con forza questo disegno governativo. Lei cosa ne pensa?
“Esiste una posizione molto netta assunta dall’Associazione Nazionale Magistrati in ambito nazionale, con comunicati del presidente Palamara e, naturalmente, la linea è quella tracciata a livello nazionale e cioè piena condivisione della posizione che viene espressa. Le riserve che vengono esternate sono tante. Le riserve di tipo generale sono sui presupposti necessari per le attività di intercettazione, più restrittivi. Sulla procedura che viene caricata di adempimenti formali, il che rende ovviamente più difficoltoso portare avanti l’iter per arrivare all’autorizzazione ad intercettare. E poi, il terzo profilo è quello relativo ai tempi che si riducono drasticamente al punto da poter vanificare del tutto l’efficacia dello strumento. Se tiriamo le somme di questi tre filoni di innovazione arriviamo a un depotenziamento molto percepibile dello strumento delle intercettazioni. Che è uno strumento preziosissimo di indagine, insostituibile, irrinunciabile. E’ illusorio dire che si può tornare a compiere le indagini preliminari come venivano eseguite prima dell’avvento delle intercettazioni. Significa indebolire molto le potenzialità di investigazione. Di questo dobbiamo essere consapevoli. Dobbiamo sapere a cosa stiamo rinunciando. E poi decidere. Tutto è rinunciabile, naturalmente. Però nel bilanciamento di interessi, che la collettività deve fare, tra la tutela della privacy, tra la tutela della sfera individuale e la tutela della collettività intera dal crimine, di qualunque natura e di qualunque estrazione, dobbiamo fare una scelta consapevole ed informata. Dobbiamo sapere a cosa stiamo rinunciando”.


Ci sarà l’introduzione di un collegio formato da tre giudici per autorizzare l’attività di intercettazione. Quali conseguenze porterà questa innovazione?
“Nel momento in cui per autorizzare un’attività di intercettazione ci vorranno tre giudici, cioè un collegio, nel Tribunale capoluogo di distretto, nel Molise, quindi Campobasso, stiamo già immaginando che le carte si muoveranno avanti e indietro, tra Isernia e Larino. Questo viaggio di carte, peraltro così delicate tutelate da un interesse assoluto, crea già di per sé un vulnus. Figuriamoci in altre realtà. Come quelle della Sicilia, della Calabria, della vicina Puglia in cui si porranno problemi di tutela della segretezza con un’incidenza che adesso non c’è”.

Il vice-presidente del Csm Nicola Mancino ha criticato la magistratura definendo “eccessivo” lo sciopero fatto dalle toghe. 
“E’ stato uno sciopero assunto come decisione estrema dopo un dibattito molto sofferto all’interno della Anm. Non è stata una decisione estemporanea presa a cuor leggero. I magistrati prima di giungere allo sciopero attraversano sempre un travaglio di categoria e poi individuale. Sanno che si tratta di una misura assolutamente eccezionale. Devo però anche dire che la partecipazione allo sciopero è stata particolarmente elevata. In campo nazionale si è raggiunto l’80/85%, mentre nel distretto di Campobasso abbiamo raggiunto il 72,4% di adesioni. Considero questo un dato davvero significativo per la nostra realtà. Probabilmente l’adesione in maniera così massiccia risponde proprio ad una necessità molto avvertita di rendersi visibili, rendere riconoscibile la nostra rivendicazione. Anche se ho visto che in realtà è stato dato poco risalto allo sciopero dei magistrati. Forse il vero risalto si è avuto dopo le dichiarazioni di Mancino”.

Gli attacchi quotidiani della politica ai magistrati, che continuano da diversi anni, portano ad una precisa delegittimazione. Sembra che questi attacchi contribuiscano ad aumentare il distacco tra i cittadini e i magistrati. Lei lo avverte questo distacco? 
“Il distacco è una realtà. Ed è facilmente verificabile. Soprattutto, ancora una volta, si coglie dalle piccole cose. Nel modo come le persone si approcciano alla giustizia: con diffidenza spesso, con il timore che talune indagini siano fatte pro o contro e quindi applicando a scelte che sono solamente di tipo tecnico e procedurale una lettura dietrologica. Questo si avverte, ed evidentemente fa parte di un clima culturale, sociale, mediatico. Lo sforzo è quello di riconquistare il rapporto con le persone, gli utenti, le persone offese. Dare un’immagine autorevole, credibile, equidistante, efficiente più possibile nonostante le difficoltà operative siano davvero tante”.

Quali sono le difficoltà che si riscontrano in Molise?
“Il primo problema è quello degli organici dei magistrati, ma soprattutto del personale amministrativo, vitale per la macchina della giustizia. Non c’è più turn-over. Noi chiediamo sistematicamente degli straordinari che non saranno retribuiti. Ci fondiamo sulla buona volontà di personale che purtroppo è divenuto demotivato. Negli altri Ministeri c’è stata la cosiddetta riqualificazione del personale che ha incentivato anche la professionalità interna. Nel Ministero della Giustizia, purtroppo, ciò non è avvenuto. Le persone che vanno in pensione non vengono sostituite. È difficile operare così. È difficile essere efficienti così. È difficile fare udienza civile senza avere un cancelliere che scrive i verbali e affidandosi alla collaborazione degli avvocati che rappresentano le parti. A Campobasso noi siamo fortunati perché abbiamo il cancelliere in udienza. Già a Larino non sempre è garantita questa presenza”.

Qual è la situazione di Larino?
“Difficile. Rispetto a taluni fenomeni è un luogo di frontiera. In realtà il Molise è tutta una frontiera, soprattutto, per quello che riguarda l’infiltrazione economica, l’infiltrazione dei capitali illeciti. E dobbiamo conservare un’attenzione sempre vigile su questo aspetto. Questo tipo di infiltrazione criminale, peraltro, richiede livelli di professionalità elevatissimi. Il crimine economico non è facilmente decifrabile e non è facilmente indagabile. Un’altra esigenza è quella della collaborazione delle persone, soprattutto, dell’imprenditoria sana che dovrebbe precocemente individuare e denunciare tentativi o situazioni addirittura già esistenti”.

La crisi economica potrebbe intensificare questo rischio?
“Le difficoltà economiche dell’impresa sono il tessuto su cui si inserisce l’usura. I capitali che vengono destinati all’usura spesso sono derivanti da attività criminali organizzate di più alto livello. E quindi qui si può creare il contatto, la connessione. E se poi l’imprenditorie viene strangolato e alla fine non riesce a tenere dietro alle pretese usurarie c’è il rischio che l’imprenditore divenga solamente la facciata di una realtà gestionale…”.

Una testa di legno?
“L’immagine spendibile, rassicurante di una realtà già modificata”.

Ritornano le intercettazioni. Senza questo strumento diventa difficile capire certi strani “movimenti”? 
“Alcune cose non si fanno alla luce del sole. Non lasciano tracce documentali evidenti. Alcune cose si concordano nel chiuso delle stanze. Alcune forme di intimidazione arrivano, come dire, nei discorsi a tu per tu tra due persone. In cui non ci sono testimoni e forme di ricostruibilità dall’esterno”.

La libera stampa è fondamentale per far conoscere ai cittadini l’operatività della macchina della giustizia. Lei cosa ne pensa?
“Deve esistere un controllo sociale sull’amministrazione della giustizia. Noi dobbiamo dare conto di come amministriamo giustizia ai cittadini. Informare significa anche dare ai cittadini la possibilità di verificare l’operato di chi amministra la giustizia. Quindi non è solo in un’ottica finalistica di creare la motivazione a collaborare, ma è in un’ottica anche semplicemente di controllo dell’operato dei magistrati. Le udienze sono pubbliche, salvo rarissime eccezioni, perché la pubblicità, che oggi significa pubblicità tramite i mezzi di informazione, risponde a quell’esigenza di verificabilità, di trasparenza, di possibilità per il cittadino di accedere senza ostacoli al controllo, alla partecipazione”.

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