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Missile contro nave italiana: intimidazioni turche per chi preleva gas nel mediterraneo orientale

Un missile sarebbe stato lanciato da una nave turca contro un'imbarcazione battente bandiera italiana, ma gestita per conto di Cipro. L'imbarcazione non sarebbe stata colpita, ma l'azione è stata interpretata come la messa in atto delle minacce già espresse dal governo turco verso chi tentasse di prelevare gas nell'area ritenuta da Ankara come propria zona economica esclusiva.

La vicenda è tremendamente intricata, come capita quando si parla di confini marittimi e sfruttamento delle risorse inerenti.

Innanzitutto vanno chiariti alcuni dati. Per "zona economica esclusiva" (Zee) il diritto internazionale del mare intende l'area che si estende dalle coste di uno stato al massimo per 200 miglia marine. Allo stato costiero si riconoscono diritti esclusivi di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali presenti nel mare, nel suolo e nel sottosuolo (Antonio Cassese, Diritto Internazionale, Il Mulino, p. 86). Sulla carta tutto semplice, in realtà estremamente complesso.

Nel 2012 esplode la questione internazionale, quando una compagnia israelo-statunitense scopre due imponenti giacimenti: Tamar e Leviathan (cartina 1). Il primo pone problemi relativamente limitati, trovandosi nei pressi della costa israeliana. Il secondo invece subito viene conteso da Libano, Turchia, Siria ed Egitto. Anche qui oggetto della disputa è un giacimento che si troverebbe all'interno della zona economica esclusiva di più paesi. Già allora era lampante la pericolosità delle controversie attorno alle ingenti risorse che potevano essere estratte, specialmente in considerazione delle forti pressioni della Turchia su Cipro (il nord dell'isola è occupata da forze filo-turche) e del fatto che Israele non abbia ratificato il trattato che istituisce la vigente normativa internazionale sul mare (Trattato di Montegobay, 1982).

La vicenda fin qui trattata riguardava però il mediterraneo orientale di fronte alle coste israeliane. Il punto in questione oggi è che allora rimaneva dubbia la presenza di risorse sul confine marittimo tra Cipro e Turchia. Viste le incertezze, la risposta di Erdogan al riguardo fu, preventivamente, piuttosto chiara: ogni ulteriore trivellazione da parte della Grecia sarebbe stato considerata come un vero e proprio atto di guerra. La Zee tra i due paesi è ad oggi contestata (v. cartina 1) e l'importanza di giacimenti propri per la Turchia sarebbe enorme. Di qui l'aggressività di Erdogan.

La situazione con Cipro è altrettanto complessa, dunque quando la flotta militare turca si è trovata di fronte la Odin Finder, battente bandiera italiana ma gestita per conto della Cyprus Telecommunications Authority, non ha esitato a lanciare un missile. Probabilmente solo un avvertimento (il missile ha mancato il bersaglio), ma il messaggio è piuttosto chiaro. La nave era infatti nell'area con lo scopo di posare cavi per lo sfruttamento del gas. Dando per scontato che lo sfruttamento di risorse da parte di paesi stranieri senza alcuna autorizzazione possa legittimare lo stato a risposte militari, la questione sul luogo dell'incidente rimane invece pesantemente aperta.

 Il Fatto Quotidiano che riporta la notizia non specifica nulla al riguardo. Grazie a marinetraffic.com riusciamo però ad evincerne qualcosa di più, ed è qualcosa di molto interessante. Innanzitutto gli sbarchi della Odin Finder: negli ultimi giorni l'imbarcazione risulta giunta a Limassol il 22 luglio e ripartita il 24 (vedi qui). Portbooker rintraccia però sull'isola sei porti di una certa importanza, compreso quello di Limassol: due a nord (Delta Marina, Gemyat Delta Marina), due a sud-est (Larnaca, Larnaca marina) e uno a sud-ovest (Paphos). Anche considerando il fatto che alcuni di questi porti siano rischiosi per le navi cipriote (Kyrenia è nello stato ostile di Cipro Nord), perché partire da Limassol, nel sud, per posare cavi a nord? Di nuovo per evitare confusioni rimando alle cartine.

Si potrebbe pensare che Limassol sia stato scelto per qualche motivo di convenienza dalla compagnia di riferimento (attrezzature, stazza della nave, condizioni del meteo, etc). Questa ipotesi - che pure rimane credibile - non convince più molto se si considerano alcuni elementi rintracciabili sempre grazie a marinetraffic.com.

Lo storico dell'itinerario della Odin Finder da un risultato curioso. Tra il 26 e il 31 luglio la Odin Finder, prima di rifugiarsi a Paphos si sarebbe mossa esclusivamente nell'area a sud dell'isola, neanche lontanamente prossima ad invadere l'area di competenza della Turchia, muovendosi attorno a Paphos, spostandosi verso est e facendo infine capo di fronte alla costa israeliana. Ad una prima occhiata alle carte il moto della nave fa pensare ad un procedimento di posa (si sposta dal porto al mare aperto per qualche tempo, poi inizia la navigazione verso est). Il tutto, naturalmente, molto al di fuori dell'area di competenza turca: pur trovandosi entro le famose 200 miglia marine di zona economica esclusiva, la nave sarebbe stata attaccata all'interno della zona contigua cipriota.

La "zona contigua" indica, nel diritto internazionale, l'area istituita al fine di permettere l'inseguimento di chi commetta reati nelle acque territoriali, ma ormai ne sia fuori. Grazie all'istituzione della zona contigua, le autorità possono bloccare i criminali che si trovino a non più di 24 miglia marine dalla costa (Antonio Cassese, Diritto Internazionale, Il Mulino, pp. 83-84). Le acque al suo interno apparterrebbero quindi esclusivamente alla sovranità cipriota. Al limite si potrebbe parlare di acque internazionali, nel momento in cui la nave superi le 24 miglia. Comunque non certo di territorio turco. Quello che si prospetta è dunque un vero e proprio illecito internazionale, non solo una questione morale, ma di diritto.

Cartina 1: Hans Doeleman/Cypmaps
Cartina 2: SwissInfo/AffarInternazionali
Cartina 3: Perry-Castañeda Library, Texas University

 

Foto in home: Simon/Pixabay

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