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Mia madre, di Nanni Moretti

 Felice nella mente e nell'anima (di paolo patrone)

 
Mai stato in prima linea Moretti ed i suoi film. Questo invece, osannato da più parti, vado a vederlo. Pregiudizi a freno in basso, con il piede ben tenuto sopra.
L’inizio non è dei migliori. ‘Perché l’operatore e aiuto regista ci tiene tanto a riprendere le scene di violenza’ si chiede la regista Margherita sul set di ripresa’, ignorando l’ovvia motivazione del richiamo per il pubblico. Ci sarà poi più avanti la valida riflessione (perlomeno quale edificante causa, trascendente i reali gusti di tanto pubblico): “Oggi è proprio il pubblico che ci chiede un impegno diverso…”.
 
All’inizio recitazione incerta della Buy, non calata perfettamente nel personaggio. D’altronde nella impostazione di Moretti è lei che deve fare l’altro piede su cui il regista possa alternare il baricentro della narrazione del ricordo della madre. Una Margherita Buy che in effetti è in prevalenza Moretti, che filma il malinconico dolce ricordo della propria madre.
 
Ma nel breve svolgersi di qualche sequenza, Margherita si riprende subito ed acquista in modo artisticamente articolato e completo la raffigurazione psicologica della parte affidatale. Lei la ricordo volentieri nella sua interpretazione del film ‘Le fate ignoranti’. Il tempo passa e non risparmia nessuno ma lei si mantiene sempre una bella donna, di un sottile ma profondo fascino spirituale, dai lineamenti di una dolcezza semplice e pulita, a dimostrare che la bellezza non ha età.
 
Man mano che il film procede, la recitazione di Margherita acquista sempre più spessore, arricchendosi anche di quelle piccole sfumature recitative delle lievi ma incisive contrazioni del muscoli del volto nei momenti di maggior preoccupazione e tensione, delle espressioni date dalla piega delle labbra, dallo sguardo degli occhi che trascendono la vista davanti, ‘vedendo’ smarriti l’oltre, il dopo del presente.
Un altro punto, ripetuto più volte nel film, è quello in cui Moretti fa dire alla protagonista, quando lei si rivolge all’attrice del film che sta dirigendo, ‘Non devi scomparire come persona, devi esserci tu persona e tu attrice’. 
 
Un assunto che non viene però mai spiegato nel dettaglio concreto. Forse nel senso che solo dopo l’attore sparisce davanti al personaggio, cui ha saputo dare artistica realtà? Ben intercalate le scene degli incubi notturni, dei flashback in cui si alternano la realtà ed il sogno, che si vorrebbe reale. La scena onirica del risveglio notturno e del muoversi a piedi nudi nell’appartamento allagato.
L’acqua e il muoversi a piedi nudi in essa forse un simbolico liquido amniotico ad assorbire e maternamente proteggere dal dolore e dagli oltraggi dell'habitat esterno? Moretti troppo rigidamente legnoso nella sua recitazione. Forse però è solo una connotazione del suo carattere. In fondo anche lui non male.
 
La partecipazione nevroticamente parossistica di Jhon Turturro, persona di grande sensibilità, la cui venatura artistica non ha avuto modi di espandersi verso l’esterno. Di buona carica di simpatia, generalmente, lo ricordiamo per il suo appassionato film musicale ‘Passione’, in cui, rigettando i consunti stereotipi partenopei, ci accompagna a volo d’aquila per le strade e gli antichi cortili di Napoli, riproponendoci la grande canzone napoletana, interpretata dalla calda sussurrante voce di fantastici artisti, non ‘gettonati’ nelle serate e compilation ufficiali. 
 
Nel corso della narrazione, con garbo discreto Moretti abbozza degli schizzi rapidi sulla levatura umanistica della personalità della madre nel suo 'mestiere' di insegnante, lasciando alla sensibilità e fantasia dello spettatore il completamento del ritratto definito della persona. Ben inserito in questo contesto la visita dell’oramai attempato allievo della ‘maestra’, il quale ricorda ai figli di lei -ma in effetti parlando con sé stesso- come anche dopo la scuola egli venisse a far visita alla ‘vecchia’, esponendogli e confidandole i propri problemi di vita e come ella lo ascoltasse con attenzione, dialogando con lui. “Mi faceva sentire importante, anzi ERO importante per lei”, dice con tristezza per la maestra, l’amica di vita perduta. E come avrebbe potuto essere diversamente? Lei era una maestra nel vero senso della parola, un'Ostetrica dello spirito, così nella lunga scia della lezione Platonica (Teeteto).
 
Nello spirito dell’anima della cultura greca, di cui noi continuiamo ad essere figli, in cui la persona non è vista come individuo particolare bensì come componente di una socialità globale, e che riceve significato soltanto dal suo inserimento in questo insieme organico, proteso al perfezionamento e all’elevazione verso quell’ideale di bene, giustizia e bellezza.
 
In questo contesto due incisi del film, il significato dello studio del latino, del quale Margherita, rivolta alla figlia, un po’ ironicamente ben delinea le grandi linee ‘Per il ragionamento logico, per insegnamento a scrivere con la sinteticità e pulizia dei suoi costrutti’. E l’altro inciso soprattuto per una tensione alla ricerca della perfezione delle parole che esprimano con maggiore aderenza i sentimenti più intimi dell’anima, proiettando l’anima verso il Bello, che in ultimo coincide necessariamente con il Bene.
È questo il flash della scena che ci racconta l’aiuto che la nonna sta dando alla nipote nell’apprendimento della lingua latina.
 
Nella partecipazione corale del film, emerge la bella interpretazione di Giulia Lazzarini, nella parte della madre, nel cui ricordo echeggia alla fine della pellicola la sua voce, che, in ultimo dialogo con la figlia che le chiede ‘Mamma a cosa stai pensando?, pacatamente risponde ‘A domani’.
Questo ‘A domani’ ho letto da qualche parte che sia inteso come un ottativo, un’apertura di speranza verso il futuro.
 
Io lo interpreto piùttosto nel senso della non cessazione, della continuità dell’esistenza della persona nel ricordo perenne dei suoi cari che gli han voluto un bene dell’anima e che mai la dimenticheranno (dalla radice etimologica, dimenticare è togliere dalla memoria) e soprattutto non la scorderanno (scordare è cancellare dal cuore (cor-cordis)).
D’altro canto questa mia interpretazione la trovo coerentemente a ridosso di quella bella scena del film in cui Margherita, davanti alle libreria della madre, si chiede con profonda tristezza “Tutti questi libri, tutti questi appunti, tutte queste ore…giorni…anni di studio…a che mai sono serviti…).
Il film? il giudizio? Tornando solo per un attimo bambino ‘moltissimo bellissimo’.
 
 

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