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Mi state a sentire?

Nella società in cui viviamo e che definiamo, con troppa facilità, moderna sembra che non esista più lo spazio d’ascolto. L’egoismo impera a tutti i livelli, nessuno escluso. Gli interessi personali incombono e non esistono altre priorità. Abbiamo l’obbligo morale di fermarci ed interrogarci su cosa vogliamo e cosa ci aspettiamo dagli altri, dai quali pretendiamo solo senza dare. Se è vero che lo sviluppo tecnologico incontrollato ha portato l’uomo a isolarsi in se stesso, forse è meglio chiedersi anche dove tutto questo ci porterà. 

Mi state a sentire?

Esprimersi bene e farsi capire è importantissimo in una società dai ritmi frenetici e serrati come la nostra. Dai politici ai giornalisti, dai cantanti ai pubblicitari, oggi non possiamo lamentare carenza di professionismo in tal senso. Esiste un’arte complementare a quella dell’espressione, assai più sottile, enigmatica e precisa: il saper ascoltare. Una funzione richiesta ogni volta che si manifesta una qualsiasi forma di comunicazione anche se non si tratta esplicitamente di dialogo. Non è sufficiente utilizzare il solo udito per saper ascoltare ma è indispensabile capire ciò che l’interlocutore cerca di comunicarci, afferrarne le intenzioni, coglierne le emozioni, interpretarne correttamente il messaggio fatto di gestualità, di smorfie del viso e dal tono della voce. Si tratta anche di percepire ciò che forse un’altra persona non aveva intenzione di dirci ma involontariamente trasmette con il suo stile, il suo comportamento, il suo modo di esprimersi. Le persone in grado di utilizzare questa straordinaria tecnologia biologica che Dio ha voluto donarci, sono sempre meno. Ci stiamo allontanando a grandi passi dai valori umani da sempre condivisi. Sopra ogni cosa il danaro, il proprio benessere, l’arrampicata sociale, l’egoismo nella forma più estrema e soprattutto, i nostri problemi sono sempre più importanti di quelli degli altri. Chi non comprende gli altri, non ha neppure una percezione chiara del proprio gonfiato ma confuso “ego”.
 
Persone che passano la vita a coltivare un “sé” immaginario e che cercano di imporre al prossimo con ogni sistema, con l’inconscia consapevolezza di non essere assolutamente nessuno. Quando ti rivolgi loro per esporre una tua angoscia, finisci per parlare dei loro problemi. Chi cerca conforto nelle orecchie altrui, lancia una subliminale richiesta di soccorso, un soffocato e represso male di vivere da manifestare che troppo spesso non riscontra condivisione. Episodi simili talvolta trovano pace in una riconciliazione assoluta con se stessi dandosi la morte poiché il suicidio è un modo di punire, di mortificare ed umiliare per non aver saputo capire. Un estremo dispetto che cagioni rimorso. Un invito alla riflessione. Non esistono età per avere un rospo da togliersi, una confidenza da fare, un macigno da rimuovere. Le persone cui ci si rivolge in tali frangenti sono quasi sempre occasionali, magari incontrate facendo la fila dal medico di base piuttosto che alla cassa del supermercato. All’inizio dell’estate, è accaduto in un ospedale del Bel Paese che un uomo di circa quarant’anni, avesse accompagnato la propria madre al pronto soccorso per una lieve disfunzione cardiaca. Il medico di turno, che conosco personalmente, si prodigava nel curare la signora. Il figlio aveva scambiato qualche parola con il medico manifestando un chiaro malessere nella sua vita matrimoniale e raccontando che la moglie aveva chiesto la separazione minacciandolo di non fargli più vedere i figli. Il medico lo aveva quindi consigliato di rivolgersi ad un avvocato, di sentire magari un’assistente sociale o quegli enti preposti per la riconciliazione famigliare. La signora fu dimessa in serata ed andarono assieme a casa. La sera dopo lo stesso medico di pronto soccorso che si trovava ancora nello stesso turno ebbe la sorpresa di trovare il confidente della sera precedente sdraiato nel tavolo dell’obitorio. Statisticamente si procurano la morte in numero maggiore i maschi rispetto alle femmine ed è un fenomeno in aumento costante. Colpisce qualunque estrazione sociale: potenti, cattolici, negri, ebrei o emarginati. La scienza è riuscita a spiegarne alcune ragioni ma non ha trovato una cura, un rimedio. Forse la soluzione è dentro di noi. La gente ha bisogno di orecchie attente e di una lingua muta. Sapere ascoltare è un servizio d’amore disinteressato ed è un potente mezzo, ma troppo spesso poco utilizzato. Non ascoltare è anche mancanza di rispetto verso gli altri. In Giappone le persone depresse aprono la finestra e si gettano dal decimo piano; negli Stati Uniti d’America salgono su una torre e sparano sulla folla oppure entrano in una scuola e fanno una strage. Non si arriva a commettere atti di questo genere senza manifestare alcun campanello d’allarme, è solo che non abbiamo saputo coglierlo e valorizzarlo correttamente. Ascoltiamo con empatia e comprensione chi ci chiede un po’ di conforto. Potremo mettere un po’ di zucchero nella quotidiana vita amara del prossimo.
 

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