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Mi chiamo Conte, risolvo problemi

La revisione della spesa pubblica è un antico rito collettivo di questo paese. Ricordo che, durante il governo di Enrico Letta, quando il concetto divenne un brioso spin di marketing politico, ogni giorno sui nostri attenti giornali si potevano leggere editoriali e commenti in cui venivano suggerite nuove spese pubbliche, “da finanziare con la spending review”.

Erano momenti bellissimi, in cui il Paese sembrava aver ritrovato un senso della sua missione terrena: dagli asili nido a pensioni più alte, da sussidi di disoccupazione a investimenti in ricerca e sviluppo, tutto era diligentemente annotato sull’aureo libriccino dei sogni. “Per fare questo useremo la spending review!””, era il coro a bocca aperta degli italiani, con la variante della “lotta agli sprechi”, che poi sarebbero la spesa pubblica di cui beneficiano tutti gli altri rispetto ai richiedenti di nuova spesa pubblica.

Come finiscono, questi momenti di allucinazione collettiva, è noto: prendono corpo proposte di riallocazione (non certo di riduzione) di spesa e partono i niet, le barricate, gli happening di piazza con la costituzione più bella del mondo brandita come un crocefisso o un paletto di frassino da mostrare al vampiro di turno, e tutto finisce lì.

Motivo per cui il premier italiano pro tempore può fare una cosa sola: far virare il dibattito pubblico sulla “lotta a evasione e corruzione” e “più flessibilità dall’Europa, dovessimo andare a battere i pugni sul tavolo a Bruxelles”! E la giostra riparte, tra tagli lineari di spesa pubblica in modica quantità, necessari perché “mal comune, mezzo gaudio” tra i percettori di spesa pubblica, e nuovo deficit da garantire col pagherò di aumenti Iva negli anni successivi.

 

A questo giro di giostra, la situazione si riproduce identica a se stessa nelle grandi linee ma con una variazione scenografica e coreografica, centrata sul tema della gestione dei flussi migratori in Europa. Il perno di tutta la rappresentazione è la figura del premier italiano.

Il professor avvocato Giuseppe Conte è uomo di provata fede europeista, qualunque cosa ciò significhi. È divenuto premier di una improbabile e surreale coalizione tra M5S e Pd ma soprattutto si presenta in Europa come la punta di diamante della vittoria delle forze europeiste (qualunque cosa ciò significhi), contro l’Armata Bannon dei sovranisti, che in Italia egli ha magistralmente irretito e domato in un’epica missione durata quattordici mesi, durante i quali Conte è stato costretto a ricorrere a raffinate strategie di camuffamento e dissimulazione.

In virtù di questa narrazione, il ritorno dell’Italia nell’alveo dei paesi “perbene” rappresenta un enorme credito per il nostro paese. Un cambialone che ora “gli europei” dovranno pagare con la gioia nel cuore per lo scampato pericolo. Non è chiaro quale pericolo fosse, per il resto d’Europa, il reiterato tentativo degli italiani di farsi esplodere in una camera di cemento armato, ma non sottilizziamo: come diceva il figlio di un grande giornalista italiano, già direttore del principale tg del servizio pubblico, citando Federico Fellini, “non si interrompe un’emozione”.

Il credito italiano verso gli europei, si diceva. Narra la leggenda che l’incasso del cambialone immaginario passerà attraverso due grandi viali alberati ed una stordente fragranza d’ambrosia. Il primo è quello di nuova e robusta “flessibilità”, cioè più deficit. Per averla ci avvarremo, secondo narrazione, dei buoni uffici del neo commissario all’Economia, il nostro ex premier Paolo Gentiloni. Il nostro uomo a Bruxelles.

Egli dovrà interfacciarsi, a nostra tutela e vantaggio, col nuovo inquilino del Mef a Roma, Roberto Gualtieri. “Uno che a Bruxelles era di casa, signora mia”. Con simili credenziali, chi potrà mai impedirci di fare tutto o quasi il deficit necessario per innescare una crescita virtuosa, riempire l’Italia di asili nido, spianare il cuneo fiscale, erogare ricchi assegni di disoccupazione o, meglio ancora, cassa integrazione in deroga sinché morte non ci separi?

Insomma porre le basi per diventare come le leggendarie socialdemocrazie scandinave; quelle dove, se suonano alla porta, è lo Stato che ti porta un assegno appena uscito dal forno del welfare, come narra la mitologia, soprattutto dalle nostre parti. Che poi sono quelle dove la quasi totalità della popolazione svolge per definizione lavori usuranti; quelli dove, poco dopo i cinquant’anni, sei già un relitto biologico vittima del turboliberismo, e quindi non puoi non avere un “congruo indennizzo” sotto forma di pensione precoce.

Sotto l’attenta regia del professor avvocato Giuseppe Conte, quindi, G&G (Gentiloni e Gualtieri) lavoreranno per la “flessibilità buona”, quella che di solito finisce ad essere garantita da clausole di salvaguardia sotto forma di aumenti Iva. Si chiama svolta, tutto è nuovo fiammante, nella Penisola. Ma il novello De Gasperi d’Italia, quello che sconfisse le forze sovraniste fingendo di assecondarle, ha già una soluzione anche per l’altro tema spinoso della faticosa convivenza cooperativa dentro l’Unione europea: l’immigrazione.

Oggi i giornali ci illustrano il guizzo di genio, la luce che squarcia le tenebre dello stallo, delle recriminazioni e delle accuse incrociate sul tema dell’immigrazione. È il distillato della sapienza giuridica e dell’intelligenza sociale del nostro premier; una soluzione semplice eppur dirimente, di quelle che solo i grandi visionari possono elaborare, senza apparente sforzo.

Parliamo dell’esemplare proposta di un sistema di redistribuzione dei flussi migratori, basato su penalità. “Niente soldi a chi non accoglie”, pennellò il professor avvocato Conte, venuto dall’Italia per guidare i paesi europei verso l’irenismo del neo-umanesimo. È tutto incredibilmente lineare: i migranti sbarcano in Italia e vengono tosto redistribuiti negli altri paesi europei. E chi non accetta la redistribuzione, perde i contributi comunitari.

Ma non è meraviglioso, tutto ciò? Come avremmo fatto senza la spinta gentile del professor avvocato Giuseppe Conte, devoto di San Pio da Pietrelcina ed evidentemente toccato dalla Grazia del Santo? Ve lo ripeto: gli immigrati “sbarcano” in Italia, e vengono redistribuiti negli altri paesi europei. E chi non è d’accordo, perde soldi. La sentite, la brezza del neoumanesimo che scompiglia i capelli anche ai calvi?

Un meccanismo semplice ed efficace, che somiglia molto a quello che ipotizzava di legare i fondi europei al rispetto dei parametri di deficit e spesa pubblica. Ma quello era una trappola contro il popolo italiano, come sapete, per costringerci alla austerità, ridurci alla fame e colonizzarci, ed è stato sventato. Questo è roba del tutto diversa, e soprattutto viene da uno degli astri più luminosi che l’orizzonte europeo mai abbia visto sorgere. Una proposta che non si può rifiutare.

La Germania ha accolto oltre un milione di rifugiati siriani? Che c’entra, quelli erano ingegneri, astrofisici, esperti di biotecnologie, supereroi Marvel allettati a venire sul suolo teutonico per dare una formidabile spinta all’economia di Berlino; quindi vanno scorporati dal computo dei flussi redistributivi, proprio come noi italiani vorremmo scorporare gli “investimenti produttivi” dal deficit e finanche scorporare il deficit dal deficit, come noto.

E oltre agli sbarchi in Italia, che facciamo degli ingressi in Spagna, Grecia, Slovenia? Andiamo a redistribuire anche quelli, in parte verso l’Italia, secondo gli stessi meccanismi? Anche no, noi abbiamo già dato e siamo impegnati a ricucire il lacerato tessuto sociale del nostro paese, dopo la terribile battaglia contro il populismo. Paghino altri.

 

E i cosiddetti “movimenti secondari”, cioè quegli immigrati sinora giunti in Italia e dispersi per l’Europa, soprattutto in Germania? Beh, se sono andati da loro ci sarà un motivo, non possiamo trattenerli da noi contro la loro volontà, dopo tutto. O no?

E quale immigrazione verrà redistribuita? I richiedenti asilo o gli immigrati economici? Ma soprattutto, esiste ancora la distinzione tra le due categorie, siamo sicuri? E quelli che non avranno diritto a restare in Europa, come e dove verranno rimpatriati? E quali organismi effettueranno la valutazione dei richiedenti asilo agli ingressi della Ue, quelli nazionali o una task force multinazionale, appostata nei paesi della frontiera esterna?

Voi fate troppe domande e siete prigionieri dei dettagli, che soffocano le grandi visioni. L’Europa imparerà ad affidarsi alla sapienza giuridica ed all’intelligenza sociale del professor avvocato Conte. Non c’è nulla che una sua interlocuzione non possa risolvere, come noto. Egli scioglie gli aridi interessi nazionali altrui con la sua sola parola di speranza, a vantaggio dell’interesse nazionale italiano.

Perché egli è amato figlio del popolo che ha saputo riscattarsi dalle tenebre sovraniste, ed ora è tornato alla casa comune europea. Come il figliol prodigo, in pratica. Vorrete mai non ammazzare il vitello grasso, magari catturato in qualche discoteca romagnola, per un simile evento? Orsù, si aprano i festeggiamenti, diamo fiato alle trombe del deficit.

Se la definizione di populismo è “soluzioni semplici a problemi complessi”, il professor avvocato Giuseppe Conte è ancora in missione di camuffamento e dissimulazione. Chissà chi dovrà sconfiggere, a questo giro. Forse gli italiani.

Foto: European Parliament/Wikimedia

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