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Mezzogiorno: c’era una volta il settore terziario

I fallimenti aumentano, i ricavi crollano e l’occupazione diventa un miraggio: il sud del paese è sempre più solo.

A dirla tutta non c’è mai stata una vera struttura industriale, quel po’ che si è creato è tutto merito d’imprenditori coraggiosi e tenaci che senza l’aiuto dello Stato sono riusciti a scommettere su se stessi creando imprese e posti di lavoro, riempiendo parte di quel vuoto lasciato, come spesso accade, dalle istituzioni.

Ma in tempo di crisi anche la buona volontà va a farsi benedire, l’ineluttabile condizione del sud dell’Italia sembra essere una circostanza ormai consolidata (come nel resto del paese) e senza i giusti aiuti non rimane altro che chiudere battenti salutando con eloquente rammarico tutto ciò che si è costruito in anni di duro lavoro.

Nel mezzogiorno la situazione è catastrofica. Il 66,3% delle imprese del settore commerciale e turistico registra un peggioramento senza precedenti e il 54% degli imprenditori non vede con speranza il futuro immediato trovandosi davanti all’unica soluzione possibile: dichiarare fallimento.

I ricavi e l’occupazione sono un miraggio, mentre l’accesso al credito per rilanciare le aziende rimane una pura utopia. Il 45% delle aziende ha assistito a una riduzione dei propri introiti di oltre il 50% con un aumento vertiginoso dei costi (fiscali e produttivi) senza prevedere miglioramenti nell’immediato spazio temporale.

Rilevante il calo dell’occupazione: solamente nel settore terziario il 32% delle imprese ha ridotto il numero dei lavoratori, e per l’anno in corso si prevede una nuova contrazione dalle stime imprecisate.

Ridotta la forbice d’imprenditori e commercianti che si sono rivolte alle banche: il 41% si è visto rifiutare la richiesta di finanziamento già dalla fase istruttoria mentre il 35% ha visto accettare la propria domanda di credito ma con un importo erogato inferiore a quello richiesto. Solo il 12% di queste ha ottenuto per intero la somma utile per risanare le proprie casse e far ripartire l’azienda, conti alla mano. Complessivamente l’inflessibilità del sistema bancario verso il settore terziario del sud è stata pari al 76%.

Il momento di crisi di chi produce beni e servizi non è imputabile solo alle banche ma anche all’aumento eccessivo dei prezzi degli stessi fornitori che devono giocoforza far fronte al proprio fabbisogno, in altre parole onorare le scadenze.

Complice dello sfaldamento industriale è l’inarrestabile scomparsa delle piccole imprese, una volta soprannominate “fulcro del tessuto economico” perché capaci di creare una forte competitività all’interno dei propri territori in termini di offerta sui prodotti ma anche di servizi.

Solo l’8% è riuscito ad avere liquidità propria per mantener fede agli impegni presi, conseguenza del mancato investimento nella propria azienda mentre per 29% il risultato è stato negativo, rimandando scadenze e tasse a data da destinarsi.

In conclusione, gli imprenditori del mezzogiorno (ma non va meglio al centro-nord), si ritrovano tutti relegati nel limbo dei “lasciati soli” per la sola colpa di non avere denaro proprio da versare allo stato centrale, con una prospettiva futura non esattamente definita.

 

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