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Messina, crocevia delle mafie

Messina e la sua provincia risultano essere “crocevia” delle mafie: cosa nostra palermitana, cosa nostra catanese e la ‘ndrangheta calabrese. È questa la fotografia scattata dalla Direzione Investigativa Antimafia, nella sua ultima Relazione semestrale presentata al Parlamento italiano, sulla presenza delle organizzazioni criminali nel territorio della ex provincia di Messina.

 

Tradizionalmente i gruppi mafiosi sono stati principalmente operativi nella fascia tirrenico-nebroidea, che risulta essere controllata dalle famiglie barcellonese e tortoriciana, strutturalmente organizzate e operanti in maniera del tutto omologa a cosa nostra palermitana.

La famiglia barcellonese

I barcellonesi, duramente colpiti nel corso dei vari tronconi delle operazioni Gotha (siamo già al sesto capitolo, ndr) che ne hanno decimato i vertici, - ripartiti nei gruppi barcellonese, mazzarroti, Terme Vigliatore e Milazzo - sono da sempre legati alla criminalità organizzata catanese, come confermato anche da due distinte indagini patrimoniali che hanno colpito un rappresentante della famiglia Santapaola e un imprenditore attivo nel comparto agricolo-zootecnico e nell’edilizia, trait d’union tra i barcellonesi e un clan etneo, interessati al movimento terra, della produzione di cemento e di energia da rinnovabili.

Le due operazioni si sono concluse con il sequestro di beni per un ammontare rispettivamente di 4 e 27 milioni di euro.

Sempre tra le attività repressive e di contrasto, la Relazione della Dia cita anche l’esito dell’attività ispettiva della Commissione di Accesso al Comune di Mazzarrà Sant’Andrea, nominata alla fine del 2014 dal Prefetto di Messina, che ha rilevato “all’esito di approfonditi accertamenti”, “forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’amministrazione (retta dal dottor Salvatore Bucolo, indagato per tangenti insieme agli ex vertici della partecipata Tirrenoambiente, nell’operazione della Finanza “Riciclo” e fratello dell’attuale capo dei mazzarroti Angelo,arrestato nella Gotha V, ndr), a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale”, e poiché è stato rilevato che “la permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata ha arrecato grave pregiudizio agli interessi della collettività e ha determinato la perdita di credibilità dell’istituzione locale” si è reso necessario il commissariamento. Mazzarrà è il terzo comune della zona tirrenica ad essere stato sciolto per mafia nel corso degli ultimi tre lustri. In precedenza erano stati sciolti Terme Vigliatore nel 2005 (grazia alle denunce del compianto professor Adolfo Parmaliana, ndr) e Furnari nel 2009, in seguito agli esiti delle operazioni del Ros dei carabinieri “Vivaio” e “Torrente” che hanno svelato il condizionamento del gruppo criminale dei mazzarroti di Tindaro Calabrese nelle elezioni amministrative del 2007.

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I tortoriciani-batanesi

Nella zona nebroidea invece, sono attivi i tortoriciani, gruppo con molti contatti con il mandamento mafioso palermitano di San Mauro Castelverde.

Le indagini del Gruppo Interforze della Prefettura di Messina hanno accertato un particolare interesse da parte della criminalità organizzata verso l’acquisizione dei finanziamenti comunitari e statali nel comparto agricolo e zootecnico. Sono state individuate e colpite da interdittiva antimafia 11 imprese agricole – alcune sulla carta preesistenti e altre costituite ad hoc – intestate a familiari o prestanome di un mafioso di elevato spessore criminale, aggiudicatarie di lotti di pascoli ricadenti all’interno del Parco dei Nebrodi.

I clan della città di Messina e della costiera jonica

Nella città dello Stretto operano i gruppi criminali degli Spartà, Galli, Lo Duca, Ventura, Mangialupi, Aspri, Trischitta e Cutè, dediti non soltanto alle tipiche attività illecite dell’estorsione, dell’usura, del traffico di droga, ma anche ad una vera e propria attività di imprenditoria mafiosa, attraverso l’infiltrazione nel sistema degli appalti, dell’edilizia, dei servizi, del commercio, dei rifiuti e dell’illecita acquisizione di finanziamenti pubblici. Pur ricorrendo raramente ad azioni violente, proprio per non destare allarme sociale, i clan messinesi esercitano comunque un incisivo controllo sul territorio.

Il clan Mangialupi risulta – secondo gli investigatori della Dia – quello maggiormente collegato con le organizzazioni ‘ndranghetiste della provincia di Reggio Calabria. Lo scorso 23 dicembre sono stati condannati in primo grado 22 esponenti del clan coinvolti in un traffico di droga, acquistata con i proventi illeciti delle rapine, tra la provincia di Messina e la Calabria, coinvolgendo anche città del Nord Italia.

La fascia jonica, infine, rimane area di influenza delle famiglie catanesi dei soliti Santapaola, dei Laudani e dei Cappello. Tre i principali gruppi individuati dalla Dia, un primo legato al clan Santapaola-Ercolano, un secondo contiguo al clan Laudani e un terzo vicino ai Cappello. I tre gruppi esercitano la propria influenza dalla valle dell’Alcantara alle città di Giardini e Taormina.

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