• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Messico: difensori della terra e dell’ambiente criminalizzati per le (...)

Messico: difensori della terra e dell’ambiente criminalizzati per le proteste pacifiche

A San Cristobál de las Casas (stato di Chiapas), persone di più gruppi si sono riunite per protestare contro un progetto di edilizia residenziale in un’area protetta, con conseguenti danni ambientali.

A Zacatepec (stato di Puebla), Miguel e Alejandro, difensori di etnia nahua, si oppongono alla costruzione di un bacino di raccolta delle acque nella zona industriale di Hueiotzingo, che scaricherebbe nel fiume Matpalanapa, inquinandolo.

A Chilón (stato del Chiapas), César e José Luis, difensori di etnia tseltal, sono stati perseguitati per essersi opposti alla costruzione di accampamenti della Guardia nazionale sul loro territorio;

Infine, a Sitilpech (stato dello Yucatán), Jesús Ariel, Arturo, Juan Diego e altri abitanti cercano di contrastare le attività di un mega-allevamento di maiali a causa dell’inquinamento, della contaminazione delle acque e dei problemi di salute che ne deriverebbero.

Sono quattro storie tratte dal rapporto “Messico: terra e libertà? La criminalizzazione dei difensori della terra e dell’ambiente” in cui Amnesty International denuncia lo sproporzionato uso delle leggi e del sistema giudiziario per disincentivare e smantellare l’operato dei difensori e delle difensore della terra e dell’ambiente.

Il Messico è tra gli stati col più alto numero di omicidi di difensori dell’ambiente ma lo stato non fa nulla per fronteggiare e impedire questa violenza. Non ci sono solo le uccisioni: il rapporto di Amnesty International segnala anche intimidazioni, aggressioni fisiche, sparizioni forzate, sfollamenti e narrazioni stigmatizzanti.

Il diritto di protesta è una risorsa fondamentale per i difensori della terra e dell’ambiente che rivendicano i loro diritti, soprattutto quando altri meccanismi istituzionali non sono a disposizione. Molti stati messicani criminalizzano le loro azioni, ignorando i contesti delle proteste e i principi di legalità, necessità e proporzionalità.

Nelle azioni penali vengono usati reati dalle definizioni generiche, come “rivolta”, “interruzione di lavori pubblici” o “attacco alle infrastrutture stradali. In assenza di prove concrete, le ricostruzioni di quanto accade nel corso delle proteste vengono adattate in modo da essere calzanti con tali reati, con l’ausilio di testimonianze compiacenti di pubblici ufficiali e lavoratori delle imprese interessate.

Le denunce riguardano prevalentemente le persone considerate leader delle proteste, o comunque le più visibili, in modo da agire come deterrente nei confronti di altre persone.

I procedimenti penali sono accompagnati da narrazioni stigmatizzanti e da minacce alla sicurezza fisica e alla salute mentale. Il rapporto di Amnesty International segnala casi di ansia, difficoltà nel dormire, stress, impotenza e sensazioni di ingiustizia. Gli effetti si estendono anche alle comunità di appartenenza, circondate da un clima di intimidazione e di repressione.

 

Affrontare le tensioni sociali solo sul piano penale non le risolve ma le esacerba. Il diritto di protesta pacifica deve essere rispettato, ha sottolineato Amnesty International, che ha lanciato la campagna #ProtestarNoEsUnCrimen per chiedere alle autorità messicane di porre immediatamente fine alla criminalizzazione delle proteste e indagare sulle violazioni dei diritti umani subite dai difensori della terra e dell’ambiente.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità