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Melancholia: il nuovo film di Lars Von Trier

Recensione del nuovo film di Lars von Trier, presentazione speciale al TIFF 2011.

Un prologo, due capitoli, due storie. Linearità che si fa oppressione, grafia dell’inevitabilità, claustrofobia ipertrofica quando anche la terra si rivela nascondiglio troppo piccolo e, nel contempo, troppo estesa prigione.

Brividi e vertigine di volumi e colori. Squaderna la vastità del cosmo, aliena la meschinità dell’uomo. Vacue le certezze, pallidi fantasmi sull’altare della ragione.

Il sonno della ragione genera mostri.

Quale rivisitazione moderna dell’antitesi ragione/sentimento, protagoniste sono due sorelle: Justine, superba Kirsten Dunst in odore di oscar, è languida sposa che soffoca nel delirio delle convenzioni e delle responsabilità matrimoniali, all’incrocio tra fallimenti e falsità. Claire, materna e ruvida Charlotte Gainsbourg, vive una coazione al perenne controllo, e di qui l’ossessiva pianificazione del ricevimento nonché delle abitudini quotidiane, le pillole, il monitorare compulsivamente la circonferenza di Melancholia, pianeta che si avanza minaccioso, affidandosi al cerchio costruito dal figlio… perché quando falliscono gli algoritmi della scienza è la semplicità creativa dell’innocenza a riconoscere ciò che sta veramente accadendo.

La malinconia è magnete seduttivo, soverchiante, che costringe alla schiavitù dell’impotenza.

La malinconia è aridità e distrazione, violenta come i colori dei Pre Raffaeliti che colorano la pellicola di Von Trier. E’, infatti, questa un’opera d’arte che orchestra rimandi inters-testuali oltre i confini della cinematografia. La si ama o la si disprezza. Indubbiamente la si vive. E non tanto nella surrealità della trama, ma nel suo alternare catarsi rasserenante a monito distruttivo.

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