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Diplopia. L’immagine fotografica nell’era dei media globalizzati

Un saggio sull'11 settembre, tra icona e realtà.

Tradotto nella collana Piccola Biblioteca Einaudi, questo saggio a firma di Clément Chéroux, storico della fotografia e conservatore del fondo fotografico presso il Centre Pompidou, si distingue nello sterminato panorama di pubblicazioni dedicate all'11 settembre per il suo focalizzarsi sulla rappresentazione fotografica che i media globali diedero di tale evento.

Gli atti di terrorismo non mirano solo a destabilizzare i governi in carica, o i principi democratici, ma anche a trasmettere dei messaggi; pur impiegando il linguaggio della barbaria sono comunque atti di comunicazione. I terroristi usano i media per veicolare la loro ideologia. Mettono a profitto tutte le risorse della società della comunicazione per rovesciarle contro di essa.

Tale premessa introduce ad una valutazione degli attentati e della loro strutturazione in un'ottica di strategia comunicativa: due sono gli aerei contro Ground Zero, due sono le torri, garanzia di copertura televisiva in diretta del secondo schianto e ripetizione ad nauseam di torri che non sembrano mai smettere di crollare.

Duplice ed interattiva è simmetricamente la strategia di raffigurazione iconica degli attentati; come suggerisce il titolo, "diplopia" è infatti tecnicismo medico significante un disturbo funzionale della visione che si traduce nella percezione di due immagini per un solo oggetto.

Déjà-vu e sensazione quasi claustrofobica di fronte ad una raffigurazione parossisticamente uniforme, affidata, sulle prime pagine di oltre 400 giornali internazionali, a sole trenta fotografie classificabili nei sei momenti di una narrativa tanto elementare quanto universale ed epica: sorpresa dell'attacco (aereo che si schianta), violenza dello choc (esplosione), panico generale (feriti e gente in fuga), angoscia (nuvola di fumo), crollo, rinascita (bandiera americana issata sulle macerie).

Due domande risuonano ossessive: perché, a fronte di migliaia di scatti, la rappresentazione mediatica è affidata ad un numero così esiguo di immagini? Perché la nuvola di fumo ed i pompieri che issano il vessillo americano sulla cenere diventano icone e topoi dello storytelling mediatico e quotidiano di tale evento?

L'indagine iconografica diviene possibilità di disvelamento dei condizionamenti insiti nella media logic, tra autocensura e concentrazioni in multinazionali dell'infotainment, nonché squarcio in quel velo di ingenua passività col quale quotidianamente, tra le parole annerite su una pagina, esperiamo il mondo.

Scoprendo che i giornali non sono resoconti della storia ma trame della memoria, disegnando orditi di rimandi intericonici, a cavallo tra reportage giornalistico del vero e finzione hollywoodiana dell'(in)verosimile.

Perché se uniformarsi ad immagini già possedute e reiterate è potenziale strumento di di rimarginazione del trauma, il rischio, a mio avviso, è quello di perdersi, ed essere inghiottiti nella spirale autoriflettente e mendace di un post-trauma alienante.

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