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Mauritania, oggi l’appello dei 13 anti-schiavisti in carcere

Oggi, lunedì 14 novembre, si svolgerà il processo d’appello nei confronti di 13 militanti di Ira-Mauritania (l’Iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista che lotta contro la schiavitù nel paese dell’Africa nord-occidentale) che a metà agosto sono stati condannati a pene da tre a 15 di carcere per una serie di reati tra cui “appartenenza a organizzazione non riconosciuta”, “ribellione” e “uso della violenza”.

I 13 erano stati arrestati tra il 30 giugno e il 9 luglio nella capitale Nouakchott, all’indomani di una protesta contro lo sgombero forzato di un insediamento per far posto a un vertice della Lega araba: un insediamento abitato in larga parte dagli haratin, la casta cui un sistema ereditario di sottomissione assegna il ruolo di schiavi.

Sebbene abolita ufficialmente nel 1981 e considerata reato dal 2007, in Mauritania la schiavitù tradizionale è praticata ampiamente.

Secondo gli avvocati dei 13 imputati, impossibilitati a difendere i loro clienti, il processo è stato una “pagliacciata” (nella foto, la conferenza stampa tenuta appena appreso il verdetto). Difficile essere in disaccordo se si pensa che nessuno di loro aveva preso parte alle proteste: ad esempio, il giorno della protesta Mohamed Jarrulah si trovava a 1200 chilometri di distanza ed è stato condannato a tre anni di carcere.

I giudici non hanno neanche battuto ciglio, dichiarandosi “non competenti” a esaminarle, di fronte alle denunce dei 13 uomini di essere stati torturati in carcere.

Per Amnesty International si è trattato dell’ennesimo atto persecutorio contro i difensori dei diritti umani, molti dei quali sono in esilio o entrano ed escono continuamente dal carcere.

L’organizzazione (un cui osservatore assisterà domani al processo) ha sollecitato il proscioglimento e il rilascio dei 13 attivisti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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