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Mario Dondero: un fotografo, la gente comune, la capacità di ritrarre la Storia

A Pieve Santo Stefano (Arezzo), nell’ambito del Premio annuale dell’Archivio Diari, Mario Dondero ha inaugurato una sua mostra di immagini del paese e dei suoi abitanti. Dondero, nato a Milano il 6 maggio 1928, è uno dei più grandi fotoreporter italiani viventi, insieme a Gianni Berengo Gardin, Giorgio Lotti, Mario De Biasi.


Famoso come membro del gruppo dei “Giamaicani” (dal bar milanese dove si riunivano alcuni artisti come lo scrittore Luciano Bianciardi, che lo ritrasse nel suo romanzo più famoso “La vita agra”, Camilla Cederna, Ugo Mulas), cominciò a collaborare con “L’Unità”, “L’Avanti”, “Milano sera”, “Le ore”. Nel 1955 si trasferisce a Parigi, dove diventa corrispondente dell’Espresso, collaborando anche con “Nouvel Observateur” e “Le Monde”. Conosce e fotografa il gruppo degli scrittori del Nouveau Roman (Samuel Beckett, Alain Robbe-Grillet, Claude Mauriac). Viaggia per il mondo e produce reportage pubblicati sulle principali testate europee. Nel 1968 è fra i primi a fotografare gli studenti della Sorbona che daranno vita al maggio francese, in uno dei suoi servizi più famosi. Negli anni Sessanta è fotografo di scena dei film di Pier Paolo Pasolini (“La ricotta”, “La rabbia”).

I suoi reportage, che tuttora lo impegnano per il mondo (recentemente ha fotografato la Russia di Putin), fatti con l’impiego della pellicola rigorosamente in bianco e nero, rappresentano non soltanto l’esplicazione di un peculiare senso della notizia, ma si fondano su un razionale studio delle persone ritratte. Infatti, nulla è più lontano dai suoi interessi del paesaggio o del cromatismo decadente di molti ritrattisti. Al centro dei suoi scatti ci sono le persone, le persone semplici, “i protagonisti della storia”, direbbe lo stesso Dondero. Lui ama la fotografia che è palpitazione, fulgore che scaturisce dalla cronaca, incendio dei cuori. È una fotografia umanistica nel senso pieno del termine, con al centro le persone, gli studenti, i lavoratori. Molti dei suoi scatti utilizzano focali medio-lunghe, per accentuare lo sfondo sfocato o chiusure radicali del diaframma per espandere la profondità di campo e inserire così il personaggio nel suo contesto ambientale. Un fotografo di altri tempi, si direbbe, con inedite capacità di sintesi compositiva, che lo avvicina, fra gli altri, ad un Josef Koudelka, soprattutto per quanto riguarda la capacità di cogliere il senso della storia e a Henri Cartier Bresson per la capacità di tramutare lo sguardo in osservazione.

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