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Mare nero

Nessuno può prevedere il futuro, né, tanto meno, quelli che si attribuiscono poteri divinatori, i Nostradamus di tutti i tempi, le sibille cumane, gli aruspici dell’epoca romana e persino i metereologi dei nostri giorni che dicono di prevedere il tempo, ma non riescono in realtà a evitare i disastri naturali e climatici. E qualche volta sbagliano analisi. Perché, anche dal punto di vista delle scienze meteorologiche, l’Italia è un Paese complicato.

Nulla è più regolare e ordinato come prima in questo mondo distrutto dalla cosiddetta civiltà, dall’industrializzazione, dal falso sviluppo, dal dissesto del territorio, da tutti coloro che hanno come stella polare il partito del prodotto interno lordo, dell’asservimento al potere dei più forti. Il sovvertimento delle stratificazioni sociali ha una natura endogena ed effetti sul piano della visione del mondo da parte di chi lo considera dall’osservatorio italiano.

Anche in politica si sono perdute tutte le bussole e per orientarci, al contrario di quanto accadeva prima, non dobbiamo più ricorrere alle facce di coloro che rappresentano la leadership di ciò che essi definiscono come partito o movimento. Non faccio né nomi né cognomi perché ognuno si può orientare da sé e valutare questa negazione di identità, o vacuità che sia, secondo i suoi parametri. Negazione di identità collettiva: ognuno si alza la mattina e pensa una cosa, costruisce valutazioni e castelli di carta e senza pudore le spara grosse sui temi che capitano all’ordine del giorno. Così è successo a Grillo con l’abolizione del reato di clandestinità degli immigrati che egli non aveva previsto. Un episodio, questo, nel quale il fondatore del M5S ha cercato una spiegazione che è stata peggiore della lacerazione che aveva provocato. Denota infatti una visione rigida e statica della politica, quando questa, per sua natura, è chiamata a rispondere anche all’urgenza dei fatti umani e alle emergenze del momento.

Una rigidità, comunque, trasversale. I segretari dei partiti politici, ad esempio, sono autoreferenziali senza saperlo. Immaginano un popolo che non hanno, al contrario di quanto succede ai capi carismatici che, anche se sono criminali, hanno un certo seguito appresso. Persone che preferiscono avere i loro mondi immaginari, proiettarsi sui loro idoli totemici, farne dei feticci, per dare un senso alla loro vita. Al giorno d’oggi, questa fase della politica totemica che segue quella classica tradizionale, è in crisi irreversibile. Difficile costruire una leadership. In questo sforzo le lotte sono sempre aperte. Intestine e non. Succede al Pd con i suoi quattro candidati alle primarie; al Pdl nello scontro tra Alfano e Fitto, o tra falchi e colombe; al Movimento 5 Stelle dove i diktat di Grillo fanno a pugni con l’ansia di libertà e di autonomia politica degli aderenti al movimento. Succede anche a Lista civica, dove Monti ha cessato di avere un ruolo primario; al Sel di Vendola, rimasto orfano di se stesso, a tutta la sinistra che pare non debba mai unificarsi per parlare un linguaggio comune sul futuro del mondo del lavoro e di tutti i sud del mondo.

Ho l’impressione che le vecchie verità si sgretolino sotto i colpi di alieni invisibili venuti da altri mondi per dirci che tutto sta per crollare. Il futuro rischia di essere quello dell’invivibilità e dell’incontrollabilità, un mondo di condannati a morte da noi stessi. C’è un male primigenio che dovremmo scoprire per fare i primi passi in avanti. Ed è la vera natura dell’accumulazione del capitale finanziario, il potere del mondo bancario internazionale che tiene gli esseri umani e le nazioni sotto un diretto controllo. È la limitazione all’accesso alle vie di comunicazione, cioè la mancanza del diritto di parola, di uso gratuito delle reti internet, di libera circolazione degli essere umani, prima che delle merci. Questo male è anche il predominio delle consorterie di amici degli amici che controllano l’informazione e lo spettacolo, con i nuovi guru che ci ammanniscono su cosa dobbiamo di volta in volta ascoltare o leggere. È un nuovo capitalismo che attacca le risorse del cielo, dell’acqua e della terra e produce guerre, morte e distruzione incontrollabili. In nome della velocità, di un falso sviluppo, dell’aggressione ai popoli che noi vorremmo piegare ai nostri modelli ormai distorti.

Le vicende luttuose e raccapriccianti avvenute nel Canale di Sicilia negli ultimi giorni ci dimostrano la linea di demarcazione che separa chi sta da una parte da chi sta dall’altra, mentre noi ci limitiamo a fare i becchini dei nostri fratelli in fuga da guerre e miserie. Quelle antiche che si giocano in Eritrea, ad esempio, sotto il governo dittatoriale di Isaias Afeverki. Già, l’Eritrea, uno degli ultimi Paesi del mondo. Il più povero, il più debole tra tutti quelli che si conoscono. Dove mancano vie di collegamento interno e dove i bambini vanno scalzi e soffrono la fame e la sete. Sono i bambini che il mare ci ha restituito nell’ultimo disperato tentativo dei loro genitori di metterli in salvo dall’inferno della loro disperazione e che noi non abbiamo saputo salvare.

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