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Lo sterminio degli armeni non fu guerra di religione

Le proteste del governo turco per la parola genocidio usata dal papa sono al tempo stesso prevedibili e assurde, ma il fattore religioso non pesava molto in quelle stragi e non pesa oggi nel tenace negazionismo. La Turchia non ha mai accettato di ammettere le sue responsabilità in quel massacro, come non ha mai voluto riconoscere l’esistenza di altre minoranze al suo interno: i curdi ad esempio sono stati definiti “turchi di montagna” nonostante le evidenti e radicali differenze linguistiche e l’assenza di un fattore religioso dato che sono anch’essi islamici e sunniti.

Il massacro ci fu, anche se fu negato allora anche dagli ufficiali di collegamento tedeschi e austro-ungarici che ne furono testimoni, oltre che da molti diplomatici di paesi rimasti neutrali. In realtà si trattava di una deportazione di una popolazione, un crimine compiuto da tutti i paesi belligeranti per garantire la propria sicurezza. Lo fecero i tedeschi in Belgio, anche se il numero dei deportati fu solo di 60.000 e i morti nel trasferimento o per le condizioni di lavoro forzato furono “solo” 2.600 in pochi mesi.

Lo fecero i Russi nella Galizia e in altre parti dell’Ucraina occupata dove furono coinvolti moltissimi innocenti sospettati di essere filotedeschi. Ne avevo parlato in Radici lontane del conflitto ucraino, da cui ricavo questo stralcio:

Nel corso dell’occupazione di Galizia e Polonia del 1914-1915 le autorità militari russe deportarono centinaia di migliaia di persone “sospette”, non solo quelle di lingua tedesca (comprese donne e bambini), ma anche intellettuali ucraini considerati automaticamente agenti di austriaci e tedeschi. Furono colpiti dalla repressione anche un gran numero di ebrei, ritenuti potenziali collaboratori degli Imperi Centrali solo perché parlavano quello che ai solerti poliziotti zaristi appariva un “dialetto tedesco” (lo yiddish!). E questo nonostante la maggior parte delle sinagoghe dell’impero russo avessero recitato preghiere per la vittoria della Russia, e perfino organizzato un corteo a Pietrogrado. 

Lo fecero gli italiani nelle poche terre occupate nella prima fase della guerra: 70.000 sloveni o anche italiani sospetti di essere “austriacanti” furono deportati nelle regioni meridionali, e alcuni “sobillatori” tra cui alcuni preti furono fucilati sommariamente. Mario Silvestri nel secondo volume del suo La decadenza dell’Europa occidentale (Einaudi, Torino, 1978, pp. 159-160), descrive alcuni casi di fucilazioni per rappresaglia per qualche atto di ostilità della popolazione (per esempio a Dresenza per una fucilata sparata da molto lontano in direzione di un generale), o a Villesse, dove quando arrivarono i Bersaglieri alcuni vecchi impugnarono i forconi, ottenendo in risposta la fucilazione di 150 tra giovani e vecchi.

Lo fecero praticamente tutti, con la stessa logica mostruosa che puniva intere nazioni. Ad esempio i russi non si limitarono solo alle deportazioni di popolazioni dalle regioni strappate all’Austria Ungheria o alla Germania nella prima fase della guerra, ma deportarono in Siberia anche i Tedeschi del Volga che vi erano giunti al tempo della grande Caterina, anche se i loro figli stavano combattendo lealmente contro le truppe tedesche. E le deportazioni, in tempi di guerra e di privazioni, comportavano sempre moltissime vittime. Nella seconda Guerra Mondiale Stalin non inventò dunque nulla di nuovo, ma semplicemente si inserì anche in questo nel solco della tradizione imperiale zarista.

Quanto all’Italia prima di praticare le deportazioni nelle popolazioni dell’Isonzo, l’aveva fatto sistematicamente e in modo spietato durante la guerra di Libia.

Considerare eccezionale e unico lo sterminio degli armeni e soprattutto interpretarlo come gesto di deliberata persecuzione anticristiana dunque non è esatto ed è anzi fuorviante. Gli armeni erano diventati sospetti nell’impero ottomano perché la loro élite era tendenzialmente filorussa, e per giunta la maggioranza di loro si trovava a cavallo di una zona confinante e contesa, anche se la persecuzione iniziò con l’arresto dei notabili e dei più ricchi della comunità di Istambul, anche con l’obiettivo di impossessarsi dei loro beni. Molti dei massacri avvenuti durante la deportazione verso le zone desertiche della Mesopotamia furono facilitati perché nell’impero ottomano gli armeni erano invisi a molti perché prevalentemente commercianti, alcuni dei quali visibilmente benestanti. Anche nella parte russa del Caucaso l’Ochrana zarista aveva incitato a pogrom contro gli armeni e non contro gli ebrei come nel resto del paese. Era più facile farlo, dato che gli ebrei del Caucaso non erano commercianti, ma contadini, e senza segni visibili di diversità nell’abbigliameno e nella lingua parlata, e non si prestavano quindi ad essere additati come nemici e capri espiatori. Significativo che nel Pacifico e nell’Oceano Indiano i bersagli di moti sciovinisti e xenofobi hanno colpito spesso le comunità cinesi relativamente benestanti e dedite a un’attività invisa ai più poveri, il commercio. Parte delle vittime dei pogrom del 1965-1966 in Indonesia non erano comunisti ma semplicemente cinesi.

Per tutte queste ragioni è facile capire perché nel 1915 non fu difficile trovare bande di turchi, ma anche di curdi e di arabi che attaccarono le colonne dei poveri deportati per strappare loro i pochi beni che erano riusciti a portare con sé, e resero più tragico quell’esodo forzato.

Questa ricostruzione non toglie nulla alla responsabilità di chi avviò il crimine, ma serve a non considerarlo eccezionale. In tanti parteciparono a imprese analoghe cento anni fa, ed effettivamente le differenze tra una deportazione l’altra furono quasi solo quantitative.

Sarebbe assurdo e immorale inoltre concentrare la denuncia sulla sola Turchia, pretendendo da lei sola autocritiche che nessuno degli altri criminali di guerra della Prima e della Seconda Guerra Mondiale (oltre che di innumerevoli guerre coloniali) hanno mai fatto. E soprattutto sarebbe criminale usare una lettura di quella tragedia in chiave esclusivamente religiosa per contribuire alle campagne islamofobe, che preludono a nuovi interventi e nuovi crimini.

(a.m.13/4/15)

Post Scriptum Un visitatore del sito, mi ha mosso un’obiezione sulla datazione dell’inizio dello sterminio, e mi ha segnalato questo articolo.

http://www.eastjournal.net/storia-armeni-il-genocidio-dimenticato-che-resta-pietra-dinciampo/30784

Sono d’accordo, c’erano le premesse del massacro già nel 1890, come c’erano le premesse del conflitto tra sionisti e palestinesi già prima dell’ondata migratoria provocata dall’avvento del nazismo che lo fa esplodere nel 1936. Ma prima si trattava solo di premesse, e non c’era nulla di più di alcuni conflitti circoscritti, come ce n’erano in moltissime altre situazioni, e che non si concludevano in una tragedia come avvenne nel 1915. Erano tutti comunque il sottoprodotto delle ingerenze di varie potenze, nel caso degli armeni tanto della “protezione russa” quanto delle pressioni della Conferenza di Berlino del 1878 per imporre uno status speciale agli armeni. Lo stesso fenomeno si manifesta in altre parti dell’impero ottomano, ad esempio nel Libano, dove la protezione accordata dai francesi ai maroniti e dagli inglesi ai drusi fa esplodere nel 1840 i primi conflitti tra due gruppi etnici e religiosi che avevano convissuto per secoli pacificamente.

 

Foto: Wikimedia

(Cadavres d'Arméniens : photo prise par l'Église apostolique arménienne et transmise à Henry Morgenthau, 1915, près d'Ankara. Publiée en 1919 dans Mémoires de l'ambassadeur Morgenthau, l'ambassadeur américain écrit en légende :« Ceux qui sont tombés sur le chemin. Des scènes similaires étaient chose commune à travers toutes les provinces arméniennes, au printemps et à l'automne 1915. La mort dans toutes ses formes – massacres, famines, épuisement – détruisit la grande partie des réfugiés. La politique turque était l'extermination sous couvert de déportation. »)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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