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Lo sciopero fiscale come forma di lotta non violenta

Nel 2007, per mandare a casa il governo guidato da Romano Prodi, i leader dell'opposizione Silvio Berlusconi e Umberto Bossi minacciarono lo sciopero fiscale. E dinanzi alle difficoltà dell'odierno governo nazionale è uno dei colonnelli di Bossi a rilanciare, nel maggio 2011, l'ipotesi di uno sciopero fiscale. Eppure, lo sciopero fiscale ha antiche e nobili radici storiche. Sciopero fiscale ovviamente non significa evasione fiscale. Proprio oggi, a ridosso di una manovra correttiva che colpisce il ceto medio e condanna le fasce meno abbienti all'abbandono a se stesse, si dovrebbe rispolverare questo potente strumento di lotta democratica, che è sorretto dal principio fondamentale "no taxation without representation". Ed ironia della storia, lo sciopero fiscale si ritorcerebbe contro coloro che negli anni hanno ventilato l'idea di un'iniziativa popolare di rottura rispetto alle Istituzioni che ne rappresentano la sovranità.

Nel 2007, per mandare a casa il governo guidato da Romano Prodi, i leader dell'opposizione Silvio Berlusconi e Umberto Bossi minacciarono lo sciopero fiscale. Il Cavaliere a inizio giugno invocava nuove elezioni, evocando lo spettro dello sciopero fiscale. Sul punto smentirà in una nota telefonata a Ballarò, salvo poi ritornarvi a più riprese in occasione delle convention del suo partito. Una settimana dopo è il turno di Aurelio Mancuso, presidente nazionale dell'Arcigay, che per sensibilizzare sui temi cari ai movimenti gay italiani lanciava una campagna per la restituzione delle tessere elettorali ed una per uno sciopero fiscale. Ma fu il líder máximo della Lega, approfittando del periodo vacanziero, a fare il rumore con più eco. Si era a cavallo di Ferragosto quando Bossi rilanciava «lo sciopero fiscale», perché «la gente vuol mandare via Prodi» e allora «bisogna trovare qualcosa di forte». Già nel 1993 lo sciopero fiscale fu uno dei cavalli di battaglia della Lega contro "Roma ladrona". Per la Lega con lo sciopero fiscale non si vuole non pagare le tasse, ma pagarle alle Regioni anziché allo Stato. È quindi uno strumento di protesta, una forma di resistenza e di rivendicazione. Si tratta, in definitiva, di una forma di autodeterminazione del popolo padano nel percorso verso il fedaralismo politico. L'ideologo leghista di tale profilo dello sciopero fiscale, finalizzato alla lotta per il decentramento amministrativo sino alla piena autonomia, fu Gianfranco Miglio, le cui idee, nel pieno di Mani Pulite e del crollo della prima Repubblica, ebbero molto risalto e credito anche fuori dai recinti leghisti. Poi Umberto Bossi, da Pontida, a metà del 1993, radicalizzandolo, adottò lo sciopero fiscale come slogan dell'intero movimento, mettendone un marchio d'esclusiva e determinando lo smarcamento dei partiti moderati, in fuga da un argomento destabilizzante e privo di prospettiva di governo.

Nella pancia del leghista il tema dello sciopero fiscale è sempre attuale. Il popolo di Pontida lo considera, infatti, una sorta di arma di difesa, insieme a quella della minaccia di secessione, dinanzi all'estrema difficoltà di raggiungere il tanto agognato federalismo. E dinanzi alle difficoltà dell'odierno governo nazionale è uno dei colonnelli di Bossi a rilanciare, nel maggio 2011, l'ipotesi di uno sciopero fiscale. Il pretesto è il dibattito sullo spostamento di alcuni ministeri al Nord. Roberto Calderoli, Ministro per la Semplificazione, parafrasando "No Martini? No Party", afferma "No representation? No Taxation" riprendendo e manipolando uno dei principi fondamentali della democrazia americana, "niente tasse senza rappresentanti parlamentari". Calderoli introduce l'ipotesi dello sciopero fiscale in aperta polemica con Silvio Berlusconi, dettosi non molto convinto della possibilità di trasferire la sede istituzionale di alcuni ministeri in Lombardia. Calderoli sa che l'eventualità di uno sciopero fiscale sponsorizzato dalla Lega potrebbe coinvolgere oltre 25 milioni di italiani e "sospendere" un gettito pari a 290 miliardi di euro. Ma ciò che maggiormente incuriosisce è il dato sintomatico della confusione politica dei nostri giorni, con un Calderoli che da una parte ha dato nome ad una legge "porcata" elettorale, che priva i cittadini di reale rappresentanza politica, e dall'altra, furbescamente adotta come argomento di rivendicazione quello della rappresentanza politica, minacciando, appunto, lo sciopero fiscale.

Eppure, lo sciopero fiscale ha antiche e nobili radici storiche. Addirittura la Bibbia riferisce del primo caso documentato di sciopero fiscale. Nel I secolo a.C., gli Zeloti di Giudea, come forma di lotta, si rifiutarono di pagare i tributi all'Impero Romano. L'Impero schiacciò gli "evasori" e annichilì la protesta nel sangue. Sono tanti i fatti narrati dagli storici che mostrano come nei secoli la lotta fiscale si sia caratterizzata come forma di contesa tra i potentati e la resistenza fiscale come forma di lotta del popolo e degli ordini religiosi contro il potere temporale dominante. Ma la più grande esperienza di lotta fiscale è quella che scatenò la rivoluzione americana fino alla costituzione degli Stati Uniti d'America. I coloni si rifiutarono di pagare le tasse alla Gran Bretagna, con la colonna sonora del ritornello "No Taxiation Without Representation". In pratica, quella che oggi, a torto o a ragione, è considerata la più moderna e completa democrazia del Pianeta è nata da uno "sciopero" fiscale. Anche la rivoluzione francese ebbe un profilo fiscale; il tartassato popolo francese mal digeriva la propria fame condita di tributi da versare ad una aristocrazia sempre più ingorda. Correttamente, gli storici obiettano che nei casi che ho riportato sia improprio l'uso del binomiale "sciopero fiscale", poiché lo sciopero, come oggi lo intendiamo, presuppone una libertà. In essi in effetti si devono intravedere i profili della protesta fiscale o della resistenza fiscale, mentre lo sciopero fiscale necessita di un preesistente regime democratico, poiché l'istituto generale dello sciopero è istituto proprio della democrazia a sovranità popolare di uomini liberi. Con un'immagine molto calzante, lo schiavo e il suddito non hanno il diritto di sciopero, mentre il cittadino libero e sovrano non è tale se non gode della prerogativa dello sciopero. In occasione delle due grandi guerre mondiali si organizzarono, specie tra cristiani statunitensi, molti gruppi di evasori fiscali, con il fine manifesto di non finanziare i conflitti bellici. L'esperienza si ripeterà negli Stati Uniti d'America durante la guerra del Vietnam, con gesti eclatanti di politici di primissimo piano nella vita politica americana di quel tempo. In questi casi l'uso del termine "sciopero" è corretto, poiché il sistema giuridico entro cui si consumarono tali lotte riconosceva e garantiva il diritto di sciopero. Tornando indietro di qualche decennio, fu il Mahatma Gandhi ad adottare la protesta fiscale come strumento di lotta per l'indipendenza dell'India dalla corona britannica. Gandhi disse "Rifiutarsi di pagare le tasse è uno dei metodi più rapidi per sconfiggere un governo". Quindi anche la democrazia demograficamente più grande del mondo è nata da una rivoluzione, vinta anche con lo strumento della resistenza fiscale. In definitiva, la lotta fiscale organizzata raramente ha sortito grandi effetti, molte volte non ha impedito guerre né ha fatto "cadere" governi. Le poche volte, però, in cui la protesta non è stata annegata nel sangue si è determinato l'immediato collasso del sistema e l'instaurazione di un nuovo ordine delle cose.

Sciopero fiscale ovviamente non significa evasione fiscale. L'evasore è un ladro di risorse della collettività e come ogni ladro agisce nel nascondimento, nel buio. Viceversa il resistente fiscale dichiara espressamente il proprio rifiuto di pagare le imposte e lo fa rivendicando un preciso obiettivo di carattere politico e sociale. L'obiettivo dell'evasore fiscale è quello personale ed egoistico di disposizione di una maggiore ricchezza. L'obiettivo del resistente fiscale, viceversa, è palese, generale e nell'interesse della collettività. Allora, si tratta di stabilire in che forma possa attuarsi uno sciopero fiscale che non lasci dubbi sulle reali finalità dell'iniziativa e che non consenta ai molti evasori ed elusori di approfittare di uno strumento di lotta per alte motivazioni ideali adoperato da chi le tasse le paga regolarmente.

Proprio oggi, a ridosso di una manovra correttiva che colpisce il ceto medio e condanna le fasce meno abbienti all'abbandono a se stesse, si dovrebbe rispolverare questo potente strumento di lotta democratica, che è sorretto dal principio fondamentale "no taxation without representation". Difatti, il popolo italiano, oggi, non è rappresentato in Parlamento a causa di una legge elettorale che affida a cinque segretari di partito l'elezione di circa mille rappresentanti nazionali. In tale ottica, l'eventuale sciopero fiscale rimarrebbe nel rango delle scelte costituzionalmente garantite, poiché se il popolo, in modo organizzato e senza volontà di evasione fiscale, sospendesse il pagamento dei tributi, accantonando le somme non versate, con l'impegno di riversarle all'erario successivamente al raggiungimento dell'obiettivo che la protesta si è posta di raggiungere, lo sciopero assumerebbe il profilo della lotta di popolo non violenta. 

Bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare. E siccome Cesare è il popolo sovrano, ove Cesare stesso intendesse sospendere i pagamenti dei tributi a sé medesimo in segno di lotta contro le caste, ovvero contro le ristrette cerchie di privilegiati che hanno occupato le Istituzioni e che tengono in ostaggio la democrazia, lo sciopero fiscale si porrebbe come forma popolare di soluzione della questione morale della politica italiana.

Ed ironia della storia, lo sciopero fiscale si ritorcerebbe contro coloro che negli anni hanno ventilato l'idea di un'iniziativa popolare di rottura rispetto alle Istituzioni che ne rappresentano la sovranità. Nelle more di uno studio rigoroso sugli effetti e i contraccolpi e sulle conseguenze giuridiche, in particolare di diritto penale, un modo per cominciare uno sciopero fiscale assolutamente compatibile con il quadro normativo nazionale vigente c'è ed è questo: astenersi dal gioco alle lotterie, dal fumo di sigarette, dal consumo di superalcoolici e ridurre il consumo dei carburanti. In questi campi lo Stato ricava un enorme gettito fiscale, a danno della salute fisica e psichica dei cittadini, oltre che delle loro personali e familiari finanze.

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