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Lo jihadista della porta accanto

Parliamo degli “jihadisti di casa”. Il sociologo franco iraniano Farhad Khosrokhavar ha comparato le biografie dei alcuni jihadisti naturalizzati francesi, protagonisti di attentati dal 1995 in poi: Khaled Kelkal (1995), Mohamed Merah (2012), Mehdi Nemmouche (2014), fratelle Kouachi e ne ha ricavato questi tratti comuni:

a- tutti immigrati di seconda generazione, nati in Europa

b- tutti con precedenti di piccola criminalità

c- tutti con un periodo di detenzione per reati comuni

d- tutti non militanti islamici prima della detenzione e reclutati in carcere o subito dopo

e- tutti hanno fatto un viaggio “iniziatico” in un paese islamico dopo la detezione.

E’ un identikit molto interessante. Si badi che, come rileva l’autore, i quattro non conoscevano l’arabo e non condividevano le abitudini dei paesi che hanno visitato ma hanno “solo bisogno di illudersi di stare dalla loro parte” e distare contro il proprio paese.

Questo è l’“effetto di sradicamento” provocato dalla mancata integrazione, per la quale gli immigrati di seconda generazione non appartengono più al paese d’origine della famiglia, ma non hanno neppure una nuova patria. La Francia si è coltivata una colonia interna, nelle banlieu. La rivolta di una decina di anni fa lo segnalò, ma il segnale non è stato capito: carceri e periferie rischiano di diventare un brodo di coltura molto pericoloso nel prossimo futuro perché la radicalizzazione islamica offre quel senso di appartenenza che la Francia ha negato ai suoi immigrati (e considerazioni del genere possono essere fatte anche per Germania, Italia e Inghilterra, pur se con sfumature assai diverse).

Parallelamente si diffonde il fenomeno dei neo convertiti all’Islam dal Cristianesimo, Ebraismo, ecc. Come mai questi giovani, spesso francesi purosangue (ma anche tedeschi, italiani, inglesi ecc.) fanno questa scelta?

Farhad Khosrokhavar suggerisce una soluzione suggestiva per la quale si tratterebbe di una sorta di fenomeno rovesciato del sessantotto: i giovani di quella generazione cercavano la liberazione sessuale, quelli di questa generazione, in parte, si convertono alla ricerca di un rigore religioso che nobiliti la scelta di rinunciare al sesso o di farne un uso molto più morigerato.

Una interpretazione suggestiva dicevamo, che ha una sua plausibilità: la liberazione sessuale si è convertita, da circa venti anni, in una sorta di bulimia sessuale (della quale dovremo tornare a parlare) che oggi avrebbe la sua rivolta. Spiegazione interessante, ma forse parziale: i neo convertiti non sono solo giovani, ma anche adulti (come recentemente accaduto ad un esponente siciliano di Fi) e la motivazione di alcuni è spesso diversa. Sospettiamo che quella della rivolta contro la bulimia sessuale vada integrata con la spiegazione del senso di vuoto che molti europei avvertono dopo la fine della fede e dopo il crollo delle convinzioni sull’onnipotenza della scienza.

E torniamo a quell’horror vacui che ci riporta al problema del rapporto con la morte dell’uomo secolarizzato. L’Islam offre certezze morali di cui la cultura europea, a molti, sembra incapace. Ed anche questo è il ritorno di quello shock da globalizzazione che ha investito all’inizio l’Islam e che oggi torna come un boomerang sulle società europee.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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