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Lo Stato dà, l’inflazione toglie

Le aziende scaricano i maggiori costi di produzione sui consumatori, sperando che la domanda regga. Anche grazie ai risparmi da sussidi pandemici

 

Da qualche tempo faccio più attenzione del solito alle dichiarazioni dei vertici di aziende quotate che commentano i conti trimestrali e le prospettive di mercato: voglio cercare di capire come impatta l’inflazione sulla dinamica commerciale d’impresa. Sono evidenze aneddotiche settoriali ma pur sempre utili per tentare di estrarre una tendenza e una prognosi. Ad esempio, in questo periodo abbiamo avuto a stretto giro il grido di dolore di due tra i maggiori produttori mondiali di birre.

Sia il gruppo Carlsberg che quello Heineken segnalano dinamiche di rincari mai viste prima, letteralmente “fuori dai grafici”. E segnalano anche che stanno procedendo a proteggere i margini, nei limiti del possibile, essenzialmente in due modi: cambiare il cosiddetto product mix e trasferire i maggiori costi sui consumatori.

Rincari su premium

Riguardo al primo aspetto, si caricano i maggiori costi sui prodotti più pregiati, nell’ipotesi che la loro domanda sia meno sensibile a variazioni di prezzo, ovviamente entro dati limiti. In astratto, le marche più popolari ed economiche, che non a caso vengono definite commoditised nel senso che offrono solo una birra e non una “esperienza” o una tradizione, potrebbero beneficiare di un sussidio incrociato offerto dai consumatori di quelle più costose.

Si aumentano i prezzi di quest’ultime anche per compensare la stabilità di prezzo delle prime. Oppure, se si è costretti, si aumentano i prezzi delle birre popolari in misura minore rispetto alle premium. Il discorso vale per qualsiasi bene di consumo. Lo abbiamo visto massimamente all’opera nel settore auto, sempre post pandemia. Assieme alla penuria di microprocessori sta contribuendo all’inflazione da transizione ecologica e rischia di far regredire la motorizzazione di massa.

Venendo ai rincari, il gruppo Heineken, che commercializza l’omonima birra ma anche i marchi Amstel, Tiger e Moretti, ha applicato un aumento medio dell’8,8% annuale nel secondo semestre 2021. Risparmi di costo, nei limiti del praticabile, concorrono a proteggere i margini. Ma questo non basta, visto che l’amministratore delegato di Heineken si attende per il 2022 costi in aumento di “mid teen“, cioè di circa il 15%.

A che punto è l’inflazione al consumo

Nella stessa condizione si trovano i produttori di alimentari e bevande, con forti rincari per materie prime, energia e packaging. Utile ricordare che i colli di bottiglia nelle filiere vengono esacerbati da acquisti precauzionali, per dotarsi di scorte a vari livelli del processo produttivo. “Meno efficienza e più resilienza” è un bello slogan, a patto di essere consapevoli che ciò che è in apparenza razionale a livello individuale finisce col peggiorare le criticità a livello aggregato.

Cosa mi ha colpito, di queste dinamiche? Ad esempio, vorrei cercare di capire a che stadio si trova il processo di traslazione dei maggiori costi sui consumatori. È appena iniziato? Sta finendo? Quanta parte del ghiacciaio inflazionistico sta scongelandosi, trasformandosi in una alluvione delle valli dei consumatori?

In astratto, tutto dipende dalla elasticità della domanda al prezzo. Che è una tautologia. Ma c’è anche un commento dei top manager di aziende che operano sui mercati globali, che tende a ricorrere. C’è qualcosa che suggerisce che i consumatori siano, per ora, mediamente in grado di reggere i maggiori costi senza contrarre i volumi consumati.

Risparmi immolati all’inflazione

Ma di cosa si tratta? Nelle parole dell’a.d. di Heineken, i risparmi accumulati durante il lockdown potrebbero aiutare alcune famiglie a gestire il maggior costo della vita. Questa interpretazione tende a ricorrere. Se dovesse rivelarsi fondata, assisteremmo al drenaggio dei risparmi accumulati durante la grande gelata delle chiusure, destinati a compensare i maggiori costi di merci e servizi.

Ma forse questo è il grande wishful thinking delle aziende, nel momento in cui procedono a rivedere al rialzo i listini, incrociando le dita. La morale di questa vicenda è piuttosto disarmante: gli stati hanno erogato enormi sussidi e ora quel potere d’acquisto viene assorbito dall’inflazione che tali sussidi hanno concorso a generare. Ma non si inventa nulla: “troppa moneta a caccia di pochi beni” dice qualcosa? E ribattere che l’inflazione è causata anche da uno shock negativo di offerta è assai esile consolazione.

 
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