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Libia, ipocrite smentite e concreti preparativi di guerra

Il misero trucco di Matteo Renzi non convince nessuno. Anche i maggiori quotidiani italiani, in genere tutt’altro che ostili al premier, hanno ammesso che dicendo: “non faremo nessuna invasione della Libia con 5.000 uomini”. Renzi non garantisce proprio niente. Per una vera invasione non basterebbe neppure un contingente di 30.000 (che per il momento non c’è), e quindi si può tranquillamente promettere di non farla, ma la presenza di piccoli nuclei di forze speciali sul territorio libico senza autorizzazioni condivise da tutte le forze in campo può innescare una tragica spirale; ad esempio la morte di alcuni militari italiani potrebbe fornire il casus belli attraverso un’ondata di emozione e di orgoglio nazionale per i “nostri eroi”. Se si pensa al battage che è stato fatto sui due marò, presentati come vittime innocenti anziché come arroganti assassini di inermi pescatori, si può immaginare quanto sarebbe facile giustificare una ritorsione, spacciata naturalmente per legittima difesa.

Naturalmente sottraendo alla valutazione delle responsabilità quell’incompetenza dei nostri presuntuosi generali emersa clamorosamente dalla mancata protezione della base di Nasiriya, ma su cui le commissioni di inchiesta hanno steso un velo di silenzio.

L’informazione che raggiunge la maggior parte degli italiani sorvola sul fatto che la condizione indicata come indispensabile per un nostro intervento militare è campata in aria: a chiamarci dovrebbe essere un governo che non esiste se non solo nella manipolazione dei diplomatici (e di generali come Paolo Serra, con delega dell’ONU) a cui è stato affidato il compito di strappare o comprare il consenso di qualche notabile che non rappresenta neppure una esigua minoranza dei due “governi” contrapposti, che non solo non si riconoscono tra loro, ma non amministrano complessivamente che alcune città circondate da molte milizie ostili. A simboleggiare la precarietà del terzo “governo” su cui l’Italia ha puntato, sta l’impossibilità del suo “premier” Fayez al Sarraj di arrivare normalmente in aereo: è dovuto arrivare su un gommone nel paese che dovrebbe governare!

Nessuno si domanda comunque in base a quale diritto abbiamo svolto questo compito di tutela nei confronti dei libici, che ha certamente suscitato nuovi risentimenti oltre a quelli storici (per l’aggressione del 1911, la lunga e feroce repressione dei venti anni successivi, per il comportamento oscillante nei confronti di Gheddafi prima lusingato e assunto come ben retribuito guardiano dei migranti, poi abbandonato e attaccato militarmente). A che titolo svolgiamo oggi questo ruolo? Adesso si tira in ballo l’ONU, ma sorvolando sul fatto che l’ONU, in tutta la sua storia, come in quella della Società delle Nazioni che l’ha preceduta nel periodo tra le due guerre mondiali, ha funzionato solo come camera di compensazione e mediazione tra le maggiori potenze imperialiste, e non ha fermato nessuna aggressione o eliminato una sola clamorosa ingiustizia. E che proprio in quell’Africa subsahariana da cui provengono molti dei migranti disperati che si ammucchiano in Libia l’ONU ha perpetuato da decenni regimi infami affidando l’interposizione alle truppe mercenarie di paesi vicini con governi altrettanto infami, appoggiati dagli “specialisti” di una Francia solo apparentemente post coloniale.

L’Italia e l’Europa a quanto pare hanno bisogno di collaboratori senza scrupoli, come era Gheddafi, come sono Erdogan e al Sissi. Ma una cosa è legittimare un capo moralmente discutibile ma esistente come quei tre, altro è inventarselo scegliendolo tra i molti candidati (tra cui casomai, per ora, il più forte in Libia è il generale Khalifa Haftar, l’uomo sorretto da al Sissi con la sua aviazione).

Per questo è necessario fermare questa avventura, immorale ma anche pericolosissima, che può provocare l’esasperazione di una guerra civile latente e quindi accelerare una nuova ondata di disperati in fuga dai campi di battaglia: libici ma anche africani già arrivati in quella che credono la penultima tappa verso l’Europa. Come pensano di fermarli, a cannonate? O rispedendoli tutti subito indietro, tra le fiamme della guerra? Quanti di quelli che vengono palleggiati da un paese all’altro, compresi quelli per ora accampati in una Grecia in sfacelo, resisteranno alla tentazione di un arruolamento in qualche Jihad?

L’aereo personale che doveva simboleggiare le aspirazioni imperiali di Matteo Renzi è ancora fermo, ma si è saputo che costa 40.000 euro al giorno anche se sta fermo. Quanto costano le due portaerei italiane e quella francese che si pavoneggiano nel Mediterraneo? Molti milioni al giorno, anche senza tener conto delle flotte che le accompagnano e delle decine di caccia e bombardieri in volo ogni giorno. Costano più di quanto sarebbe sufficiente per creare condizioni “normali” di esistenza (sul modello tanto citato ma non imitato di Riace) sia in Europa, sia in alcuni paesi da cui provengono fiumi di affamati: i “migranti economici”, respinti come se lo sfacelo dell’economia dei rispettivi paesi non fosse procurata da sfruttamenti antichi e recenti delle loro risorse da parte di multinazionali di paesi imperialisti.

Analogamente, invece di usare come pretesto per le esibizioni di flotte la lotta ai “mercanti di uomini”, basterebbe mandare dei traghetti enormemente meno costosi ad assicurare una traversata sicura e un’accoglienza rispettosa della loro libertà e di conseguenza della nostra sicurezza. Continuando come ora, invece, si crea un allevamento di disperati e quindi di possibili terroristi.

Dovrebbero riflettere i cittadini di tutti quei paesi che hanno conosciuto grandi ondate migratorie in uscita, a partire dai milioni di irlandesi, italiani, polacchi che hanno traversato oceani (a volte su vecchie carrette che affondavano) e affrontato umiliazioni nel corso dell’ultimo secolo, o che hanno beneficiato dell’arrivo di quei migranti come gli Stati Uniti, l’Argentina, il Brasile, l’Australia. Molti di quei migranti si sono affermati e hanno contribuito alla ricchezza dei paesi ospitanti. Uno sforzo comune dei paesi di partenza e di arrivo permetterebbe di rendere meno drammatica questa nuova fase di spostamenti massicci (provocati, non lo dimentichiamo mai, da guerre imposte o utilizzate dai principali paesi capitalisti). Non farlo, preparerebbe sicuramente altre inimmaginabili tragedie.

Foto: P. Loyarte/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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