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Liberate Silvia Romano

Silvia Romano è tornata a casa dopo diciotto mesi, nel bel mezzo di una pandemia, durante un rigenerante lockdown per la Terra e tanti dei suoi abitanti e noi, noi italiani abbiamo perso un’altra occasione per essere, o quantomeno sembrare, un paese civile, laico ed emancipato. 

Lei però che torna da un rapimento di 18 mesi così imbacuccata doveva immaginarlo che avrebbe attirato le critiche di tanti, troppi italiani, giusto? No! Sbagliato. Tutto sbagliato, di nuovo. 

Sbagliata la partenza di tanti giovani impreparati che si recano in Africa o in paesi a rischio per volontariato. A 20 anni cominci a prendere coscienza che il mondo va nel verso sbagliato, il meccanismo sembra inceppato, come se avesse cominciato a girare nel verso opposto. Esistono donne e uomini a cui lo status quo non sta bene, a cui fa veramente ribrezzo, che non riconoscono come il mondo in cui meriterebbero di vivere e ciò gli impedisce di restare a guardare, si lanciano nell’attivismo sociale e, a volte, in partenze più o meno discutibili. Ed è a questo punto che sento di dire che è la partenza che va rivista, non il ritorno da un rapimento. Va rivista la partenza. Non basta la voglia, la rabbia verso le evidenti ingiustizie diffuse nel mondo, non basta sentirsi autorizzati da un’universale e indiscutibile bisogno di giustizia, di sentirsi finalmente dalla parte giusta e non assecondare più il puro caso di essere nati nel posto giusto al momento giusto. Non basta, bisognerebbe essere più preparati, più tutelati, più consapevoli dei rischi connessi a quella attività. Sono esperienze che cambiano il nostro sguardo sul mondo e vanno fatte, anche abbracciate per sempre ma, forse non così. Anche semplicemente per evitare di diventare un ulteriore problema dove ce ne sono già altri, parecchio duri da contrastare.

Che sia partita Silvia e sia tornata Aisha a me poco importa. Credo che una conversione in quelle circostanze sia un effetto collaterale comprensibile, potrebbe anche essere effettivamente consapevole e duratura e non ci dovrebbe riguardare, dovremmo davvero imparare a prendere le distanze da certi aspetti intimi. Dovremmo studiare un modo per raggiungere una laicità davvero ancora troppo lontana ma, d’altronde con la Santa Sede nel centro della capitale, è effettivamente un pò complicato. 

Gioca a sfavore di un approccio lucido la circostanza che vede l’Islam tra le grandi paure infondate e i pregiudizi degli italiani. Non lo conosciamo, non lo capiamo, lo evitiamo e questo non ci aiuterà a dargli il rispetto che merita, non nel prossimo futuro. Forse l’Islam ci fa paura perché è totalizzante, perché riguarda e interviene in ogni aspetto della vita dei fedeli. Lo fa attraverso l’abbigliamento e non parlo del burqa, quello è una perversione degli uomini. Interviene sul cibo consentito, sugli aspetti intimi del matrimonio, sul rapporto duale tra uomo e Dio. Molti di noi credono che la Bibbia non lo faccia, semplicemente lo crediamo perché non abbiamo mai letto davvero né la Bibbia né il Corano. Così andiamo avanti per sentito dire, per luoghi comuni, per ignoranza, perdendo la possibilità di dare un’occasione al nostro piccolo mondo interiore di crescere, liberarsi, accogliere l’altro. 

Silvia Romano ha attirato intorno a sé troppe questioni intricate, non ultima la voglia del governo di spettacolarizzare un evento che, a mio parere, andava vissuto in maniera più riservata, più rispettosa per Silvia e la famiglia e per tutti quegli italiani che non riescono ancora a decifrare la realtà complessa in cui viviamo, avremmo evitato dialoghi imbarazzanti e disagio ingiustificato diffuso. Non avrei voluto vedere il cartellino del prezzo sul suo vestito e non avrei voluto sentire nessuno lamentarsi perché quattro milioni sono troppi. L’Italia soffre, il populismo è in agguato, la povertà cerca risposte, la disoccupazione raggiunge dimensioni spropositate e tutti hanno smodatamente bisogno di un capro espiatorio ma, credetemi, non può essere Silvia. I milioni, se davvero sono stati pagati per riportarla a casa, sono tra i pochi ben spesi. La nostra insoddisfazione e la nostra precarietà arrivano da decenni di corruzione, da decenni di governi incapaci, dal nostro silenzio, dall’incapacità di scendere in piazza arrabbiati con la stessa foga con cui festeggiamo scudetti, Champions e Coppa del Mondo, dalla riverenza che mostriamo verso posizioni di potere immeritate e sopravvalutate, la povertà di molti arriva dalla ricchezza smodata di pochi. L’idea che in tanta inconcludenza ci sia ancora uno stato che riesce a riportare a casa una sua giovane cittadina mi consola, mi solleva temporaneamente da quella rassegnazione che, troppo spesso, prende il sopravvento. 

È comprensibile quanto fosse appetibile accoglierla a reti unificate in un momento tanto demoralizzante per gli italiani, ma credo che il boomerang abbia centrato dritto alla testa del governo. Il governo non ha intercettato i veri umori degli italiani, forse semplicemente non si aspettava quell’abito. Forse non ha saputo gestire, come buona parte degli italiani, una scelta lontana dalle nostre convenzioni, un vestito che nel nostro immaginario è principalmente legato a violenza, domestica o terroristica che sia. Un vestito che ci fa pensare a luoghi lontani, perennemente stremati da guerre dimenticate, un vestito legato a tradizioni brutali e incomprensibili, vestiti che nascondono donne senza voce, senza futuro e senza scelta. Non è l’Islam quello. Non è l’Islam che conosco. Non sono praticante e sto ancora decidendo se credere e in cosa, quindi non sono sicuramente nella posizione di chi può permettersi di fare comizi su fede, religioni e Chiesa. Posso però affermare con certezza che uno dei nostri errori più pericolosi è dare per scontata la nostra realtà, la nostra piccola e confinata realtà. La prospettiva è fondamentale, solo cambiando prospettiva tutte le infinite sfaccettature del nostro quotidiano, del nostro passato e non ultimo di noi stessi, si manifesteranno lentamente e chiaramente davanti a noi, senza più fatica. Il mondo e la vita stessa sono fatti solo e soltanto da persone, da umani che possono e devono fare la differenza in qualunque angolo di mondo si trovino, che si mettono alla prova e che portano avanti le loro battaglie, soprattutto quelle contro se stessi. Allora ripensate a Robin Williams ne L’attimo fuggente, mentre con un balzo salta sulla cattedra e invita i suoi studenti a cambiare punto di vista, a guardare le cose da angolazioni diverse. “Perchè è proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva”. Dunque, salite sul tavolo della cucina, sul frigo, rannicchiatevi con i vostri bambini sotto il letto o dietro la porta del ripostiglio, viaggiate se potete, leggete se riuscite, aprite gli occhi quando vorreste chiuderli e chiudeteli quando vi viene da spalancarli. 

Silvia è tornata, lo sanno tutti. Quello che non sanno è che non è ancora libera ed è solo a causa nostra.

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