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Leucemia linfatica cronica: verso una terapia risolutiva?

Uno studio sui topi ha evidenziato il ruolo dei macrofagi nella regressione della malattia. I tempi per un trial clinico potrebbero non essere troppo lunghi. 

di Cristina Da Rold 

La leucemia linfatica cronica colpisce una persona su 10mila nei paesi occidentali. Non conosciamo l’origine della malattia e non sappiamo curarla a causa della sua profonda eterogeneità. Per alcuni si tratta di una progressione non grave, per altri pazienti il tumore procede in maniera molto aggressiva.

Le acque però nei prossimi anni potrebbero smuoversi. Uno studio pubblicato in questi giorni su Cell Reports da un team di ricercatori dell’Ospedale San Raffaele, ha aperto infatti la porta allo sviluppo di una possibile terapia risolutiva per questo tumore. I risultati della ricerca, sviluppata nell’ambito del progetto 5 per 1000 di AIRC e che ha riguardato per ora modelli in vitro e animali, hanno mostrato due aspetti finora sconosciuti: da un lato che i macrofagi, che sono cellule del sistema immunitario, sono i responsabili del progredire della malattia, dall’altro il team ha individuato delle vie terapeutiche per attaccare appunto i macrofagi, facendo addirittura regredire la malattia.

“Nei modelli finora analizzati, attraverso la tecnica che abbiamo messo a punto, i topi mostravano una completa guarigione dalla leucemia, una sopravvivenza quasi doppia rispetto ai pazienti non trattati” precisa Sabrina Bertilaccio, ricercatrice del San Raffaele che ha condotto lo studio. La chiave di volta di questo progetto è stata l’idea di colpire non le cellule malate, che è l’approccio tradizionale su cui si basa per esempio la chemioterapia, ma di bersagliare il cosiddetto “microambiente cellulare”, cioè l’ambiente dove il tumore ha luogo e cresce. Questo microambiente è costituito dalle cellule del sistema immunitario che aiutano l’organismo a difendersi dagli agenti patogeni e dal cancro. “Per usare una metafora, l’idea qui è quella di utilizzare non uno ma più eserciti che avanzano parallelamente per colpire il tumore bersagliando l’ambiente in cui esso vive” spiega Bertilaccio.

All’interno del microambiente cellulare, i macrofagi sono molecole molto studiate oggi nella ricerca sul cancro (avevamo parlato di un’altra scoperta che coinvolge i macrofagi pochi giorni fa riguardo il cancro al fegato), ma finora era nota principalmente la caratteristica di queste cellule di supportare le difese del nostro organismo. Ora invece sappiamo che i macrofagi in realtà favoriscono la progressione del tumore e che, eliminando queste cellule, la leucemia si arresta e inizia a regredire. “Oggi dunque una strategia è proprio quella di bersagliare i macrofagi unitamente alle cellule tumorali. Noi in particolare abbiamo utilizzato degli anticorpi monoclonali che inibiscono la molecola CSF1R, un recettore presente sulla superficie del macrofagi.”

L’utilizzo degli anticorpi potrebbe essere un vantaggio enorme rispetto alla chemioterapia, dato che la somministrazione degli anticorpi, che avviene semplicemente per via endovenosa, non ha presentato al momento effetti collaterali nei modelli esaminati.

Insomma, sebbene la parola “guarigione” in medicina vada usata con molta cautela, specie quando si parla di cancro, in questo caso non si tratta di false speranze. “Anche se al momento la possibilità di implementare questa terapia sull’uomo è tutta da studiare, le premesse ci sono e sono ottime, i tempi per la messa a punto della fase clinica e per un’eventuale terapia potrebbero non essere troppo lunghi” conclude la ricercatrice. “Va detto infine che non si tratta di un’idea completamente nuova perché già da tempo si studiano terapie dirette al microambiente anche per tumori solidi con buoni risultati.

@CristinaDaRold

Leggi anche: Metastasi del fegato, una possibile via con la terapia genica

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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