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Legge sul finanziamento pubblico ai partiti a settembre. Insieme al voto di scambio e omofobia

Lo ha deciso la Conferenza dei Capigruppo. La legge sul finanziamento pubblico scivola a settembre, e con essa quella contro l'omofobia e sul voto di scambio, dopo la discussione sulle riforme costituzionali. E per alcune ottime ragioni.

È stata la Conferenza dei Capigruppo a deciderlo: la legge sul finanziamento pubblico ai partiti non ci sarà prima di metà settembre. In giugno la mozione M5S che prevedeva la sospensione della tranche di luglio era stata bocciata, causando la solita atmosfera di civile scambio d'idee. Anche l'ipotesi di una "seduta fiume" per approvare la legge non è passata. 

Assieme alla nuova normativa sul finanziamento, sono anche altri provvedimenti a subirne le conseguenze: Quello sul voto di scambio mafioso e quello sull'omofobia. Il che, al di là delle questioni di merito, la dice lunga sulle prorità del governo.

Letta - come non manca di sottolineare Libero - aveva fatto molti proclami a proposito della legge slittata a settembre: "Abbiamo fretta di chiudere", "È un decreto importante", "Andremo dritti per la nostra strada". Invece ad oggi l'unico provvedimento di grossa portata che è sulla strada per la promulgazione è il cosiddetto "Decreto Fare".

Marco Sarti su Linkiesta ironizza: "E dire che Letta la considerava quasi una questione personale. Tempo fa era persino arrivato a minacciare il Parlamento: senza una rapida approvazione, a settembre il governo varerà un decreto ad hoc. Chissà se a Palazzo Chigi ci stanno già lavorando".

Eppure una ragione ci dev'essere. I tesorieri di partito parlano di insostenibilità del sistema partitico se viene meno il finanziamento, ma c'è qualcosa di più.

Innanzitutto va segnalato come lo stesso decreto Fare sia stato sottoposto a più intoppi, colpendo con mano leggera ma determinata sul Governo. Come a far capire a Letta chi è che ha il potere di far passare le leggi e chi non ce l'ha. 

A questo vanno aggiunti i buchi aperti nel già scarso introito privato dei partiti dalla "vacanza" di nomi eccellenti - si fa per dire - come quello di Mussari e della famiglia Riva. Ai partiti il finanziamento serve. Almeno se vogliono continuare a mantenere il proprio tenore di vita.

Vi è poi un "azionista" insospettato dell'affare legato ai finanziamenti, ed è proprio lo Stato. È lo Stato infatti ad essersi aggiudicato nella nuova normativa l'inoptato sul 2 per mille da destinare ai partiti. E anche qui sulla gestione degli introiti il Governo dovrebbe fare chiarezza. Andrebbe spiegato infatti chi maneggia questo denaro e come, prima di pretendere dai partiti uguale trasparenza.

In conclusione, la scelta operata dalla Conferenza dei Capigruppo rappresenta perfettamente i delicati equilibri che si sono costituiti nel Parlamento. 

Ma dice molto anche sulle prerogative dell'esecutivo e dei partiti che lo sostengono, su come la priorità sia un maxi-decreto in cui inserire ciò che si vuole e una riforma atta a deformare ulteriormente l'architettura istituzionale ai fini del mantenimento dello status quo.

Una domanda a questo punto sarà determinante per un giudizio sull'azione dell'esecutivo Letta: parliamo di Governo, ma Governo di chi?

Foto: Maurizio Lupi/Flickr

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