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Legame sonno-memoria, se ci si mette la farmacogenetica

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di Cristina da Rold

I problemi di sonno riguardano purtroppo molte persone e possono influenzare negativamente diversi aspetti della vita quotidiana, memoria compresa. Secondo un recente studio dell’università della Pennsylvania pubblicato su Journal of Neuroscience, anche brevi periodi di privazione del sonno possono portare a deficit nella formazione della memoria, ma un modo per contrastare questa tendenza, almeno nei topi, c’è.

Già nel 2009, uno studio pubblicato su Nature aveva individuato nell’AMP ciclico, o cAMP, una via di segnalazione importante nello sviluppo di problemi di memoria associati alla perdita di sonno. Lo studio aveva dimostrato che nei topi con problemi di sonno, il ripristino dei livelli di cAMP impediva la comparsa di problemi di memoria. La limitazione di questo studio era però il fatto che esso mancava di evidenziare un modo per accrescere l’AMP in una specifica area del cervello.

La sfida che i ricercatori si sono posti ora era invece capire a livello neuronale se l’impatto della privazione di sonno fosse mediato da particolari regioni del cervello e da particolari circuiti neurali. Il team sospettava che un ruolo critico lo giocasse l’ippocampo, cioè l’area che media l’orientamento spaziale e la memoria contestuale.

L’aspetto innovativo dello studio è stato l’approccio “farmacogenico”, l’unione cioè tra farmacologia e genetica. Gli scienziati hanno infatti progettato un virus non patogeno che contiene il gene che codifica per il recettore per una particolare proteina, l’octopamina, che scatena l’attivazione dell’AMP nei moscerini della frutta, ma che non si trova naturalmente nel cervello dei topi. I ricercatori hanno iniettato questo virus appunto nell’ippocampo dei topi in modo che i neuroni in quella sola regione potessero esprimere il recettore per l’octopamina.


I risultati hanno mostrato come solo i neuroni dell’ippocampo esprimevano il recettore e potevano dunque aumentare i livelli di cAMP selettivamente, attraverso una iniezione sistemica di octopamina.

Successivamente si è passati a esperimenti sulla variazione effettiva di memoria dovuta alla privazione del sonno in questi topi che esprimevano il recettore per l’octopamina nell’ippocampo. In un primo momento tutti i topi sono stati posizionati all’interno di una scatola contenente tre diversi oggetti, ognuno in una posizione diversa.

In un secondo momento gli animali sono stati divisi in due gruppi: un primo gruppo è stato lasciato a dormire indisturbato, mentre i topi del secondo gruppo sono stati privati del sonno per cinque ore.
Il giorno successivo tutti i topi sono stati inseriti nuovamente nella medesima scatola, ma questa volta i ricercatori hanno spostato uno dei tre oggetti in una nuova posizione. Quello che i ricercatori si aspettavano era che se i topi fossero stati in grado di ricordare la posizione degli oggetti nella prima fase, allora si sarebbero resi conto che l’oggetto era stato spostato e avrebbero fatto trascorrere più tempo esplorando quell’oggetto particolare. Altrimenti, se la loro memoria fosse stata in qualche modo danneggiata, essi avrebbero esplorato tutti gli oggetti in modo casuale.
Il risultato è stato netto: i topi privati del sonno che hanno ricevuto le iniezioni di octopamina trascorrevano più tempo a esplorare l’oggetto che era stato spostato, così come i topi che erano stati lasciati dormire. D’altra parte, i topi privati del sonno che non esprimevano il recettore esploravano tutti gli oggetti a caso, segnalando il fatto di non ricordare la posizione degli oggetti il giorno prima.
Un segno tangibile, secondo i ricercatori, della correlazione tra l’attivazione del recettore per l’octopamina e la memoria.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia
Crediti immagine: rachel CALAMUSA, Flickr

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