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Le mani sulla città. Quel 1963 che assomiglia (troppo) al 2014

Si può fare un film che, dopo 51 anni, sia ancora di una preoccupante attualità? Nel 1963 Francesco Rosi scrive la sceneggiatura - insieme ad Enzo Forcella, Raffaele La Capria ed Enzo Provenzale - e dirige Le mani sulla città, ambientato nella democristiana Napoli della speculazione edilizia, dove fatti e personaggi sono naturalmente inventati, ma «è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce», come recita la didascalia che conclude il film.

Guardando questo film oggi, con mezzo secolo di storia trascorso anche tra grandi scandali politico-giudiziari, si ha l'idea di un'Italia immobile, raccontata allora lungo parole chiave come i conflitti di interesse di imprenditori prestatisi alla politica per meglio amministrare i propri affari, di influenze del denaro privato sui gruppi politici, commissioni d'inchiesta nate al semplice scopo di insabbiare intere vicende sullo sfondo di una speculazione edilizia - con relative varianti ai piani regolatori - dei cui effetti oggi si parla troppo poco, nonostante un territorio che dalle Alpi al più sperduto dei paesini meridionali avrebbe bisogno di rimettere in discussione la propria politica urbanistica.

«Con Salvatore Giuliano ('60-'61)» - scriveva Rosi in un suo articolo scritto dello scorso anno, pubblicato da Il Reportage - «avevo trovato un mio modo di fare cinema della realtà: porre delle domande a un pubblico che volevo partecipe e attivo, non passivo spettatore». Non è difficile immaginare, dunque, che se il film fosse girato in questi giorni, scene e necessità del regista non sarebbero poi così dissimili.

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