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Le intercettazioni di Crocetta, Watergate in Sicilia e legge sulla libertà di stampa

 
Due volti di due siciliani colpiscono sui media oggi: quello esterrefatto ed attonito di Lucia Borsellino, figlia di Paolo e l'altro, in lacrime, di Rosario Crocetta Presidente della Regione Sicilia. E' la reazione psicologica intensa e fortissima allo stesso fatto: la pubblicazione sul settimanale "L'Espresso" di una intercettazione (ma è vero?) risalente al 2013, nella quale il chirurgo estetico Matteo Tutino avrebbe detto al Presidente che Lucia "... va eliminata come suo padre."
 
La Procura della Repubblica di Palermo smentisce: "Non risulta trascritta alcuna telefonata." Il settimanale ribadisce che "il brano è contenuto nei fascicoli secretati di uno dei tre filoni d'indagine in corso sull'ospedale Villa Sofia di Palermo".
 
I Carabinieri invece escludono che la conversazione sia contenuta tra quelle registrate. Una foto recente mostra tutti e tre i protagonisti, Lucia Borsellino, Matteo Tutino e Rosario Crocetta insieme allegri e sorridenti. Rita Borsellino, sorella di Paolo chiede chiarezza: "... ci sono tante verità, noi ne vogliamo una sola e vogliamo sapere quale è."
 
Insomma, forse, un Watergate come quello suscitato dalla registrazione "smoking gun" che costrinse Nixon alle dimissioni? Furono due reporter del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein a portare alla luce il caso. Ma, fatto fondamentale per gl'americani e le loro leggi, Woodward e Bernstein documentarono inconfutabilmente la verità delle loro asserzioni senza smentite di Procura e Carabinieri.
 
Quello che qui di nuovo si staglia gigantesco, dietro i volti attoniti o in lacrime dei protagonisti, è infatti la spinosa questione della libertà di stampa e del rapporto tra il "quarto potere" e gl'altri tre poteri dello Stato: i Media, il potere esecutivo (Crocetta), quello legislativo e quello giudiziario (la Procura).
 
Il dito nella piaga è messo già alcuni anni fa con tanto di documentative da Marco Travaglio nel suo "La scomparsa dei fatti" (il Saggiatore, 2006) sottotitolo "si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni": "Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane da compagnia o da riporto..." 
 
Ed è questo il problema che mediaticamente si traduce in maniera molteplice: la corrispondenza del detto alla realtà, la sua messa in luce senza ombre, la sua obbiettività. Insomma il giuramento che ogni cittadino è tenuto a fare in Tribunale: "Giuro di dire la Verità, tutta la Verità e nient'altro che la Verità".
 
Siccome poi è possibile sbagliare, siamo tutti mortali e le nostre conoscenze sono comunque mediate, è fondamentale per la stampa l'eventuale rettifica. Ed è qui uno dei punti dolenti della normativa del nostro Paese come già notava anche Travaglio. Per un mese in prima pagina a cinque colonne si ammazzano Tizio, Caio e Sempronio ("Tizio è una schifezza, Caio pure e Sempronio lasciamo stare...) poi con un trafiletto in penultima pagina, magari sotto ai necrologi si rettifica: "Non è vero niente per un mese vi abbiamo raccontato in prima pagina a cinque colonne solo falsità e corbellerie, scusateci tanto. P.S. 'N ce ne può fregà de meno tanto quello che dovevamo fà l'abbiamo fatto..."
 
In proposito la normativa più seria è probabilmente quella di altri Paesi che impone che la rettifica sia fatta negli stessi spazi modi e tempi in cui è stata data la notizia: per un mese in prima pagina a cinque colonne hai detto che Tizio, Caio e Sempronio?
 
Per un mese in prima pagina a cinque colonne dici che non è vero niente e che hai detto solo corbellerie.
 
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