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Le gite a Roma della CGIL? Inutili! Ecco come lottavano i pionieri del Movimento Operaio

Non sono rimasto sorpreso dalla notizia che CGIL, CISL e UIL, invece dello sciopero generale abbiano annunciato di aver organizzato una “dura forma di lotta”: una gita a Roma in un sabato festivo.

 

I burocrati si aggrappano alle più fumose proclamazioni di una costituzione concepita per non essere mai applicata: a Roma si va per rivendicare che “l’Italia è fondata sul lavoro”, ma vuol dire qualcosa? Retorica e bugie. Ma non è una novità. Non alludo solo all’aver trasformato da anni il 1° maggio in un concerto, salvo – in un anno come questo - un comizietto in una cittadina fuori mano di meno di cinquantamila abitanti. Penso a una tradizione antica, che è stata sconfitta solo quando c’è stata un’ondata rivoluzionaria, come nei due dopoguerra o nel ’68…

Già agli albori del movimento operaio, infatti, nel momento in cui si lanciava una giornata di lotta a livello mondiale per le 8 ore di lavoro, c’erano burocrati socialdemocratici che si sforzavano di svuotare quella decisione. Riproduco qui un piccolo stralcio dal capitolo su La lunga lotta per la riduzione dell’orario di lavoro del mio libro Il capitalismo reale, che è già sul sito (chi volesse leggerlo tutto, può farlo, è qui).

Riduco tutta la prima parte del capitolo ad alcuni dati essenziali: alcune riduzioni d’orario erano state decise per legge in diversi paesi, a partire dall’Inghilterra, per correggere una situazione intollerabile: l’allungamento continuo dell’orario di lavoro imposto dai capitalisti aveva portato a un aumento vertiginoso della mortalità sul lavoro, delle malattie professionali, delle malformazioni dei giovani proletari, dovute sia al lavoro precoce, sia alla cattiva alimentazione, sia a fattori ereditari, dato che da genitori malnutriti e ammalati difficilmente nascono figli sani. Insomma già nella prima metà del XIX secolo dei governi borghesi avevano tentato di garantire la riproduzione della forza lavoro imponendo delle regole ai singoli capitalisti.

Ma si trattava di limitazioni parziali, e per giunta facilmente aggirabili perché gli ispettori erano pochi, mal pagati e quindi facilmente corruttibili. Ogni tanto una situazione particolare (come la scarsità di manodopera provocata dalla corsa all’oro in Australia) aveva portato in qualche paese a concessioni importanti, ma non durature.

Una lotta più sistematica era stata iniziata con coraggio soprattutto negli Stati Uniti (sembra impossibile oggi, a chi non sa che nella prima metà del Novecento il fortissimo movimento sindacale negli Stati Uniti era stato smantellato con gli assassini mirati affidati ai gangster e al tempo stesso trasformato con una poderosa corruzione), e aveva ottenuto qualche successo.

Per effetto delle notizie arrivate da quel paese, alla fine degli anni Ottanta si rafforzò anche in Francia una tendenza a porre la rivendicazione subito e in modo deciso. Nel corso dei due congressi contrapposti dell’internazionale socialista, che si tennero a Parigi nel 1889 (uno “possibilista” con forte presenza anarchica e di laburisti britannici, l’altro “marxista” influenzato dalla SPD), tutti si pronunciarono a favore di una giornata internazionale di lotta per le otto ore. Entrambi i congressi accettarono la data del 1° maggio 1890 proposta dall’AFL statunitense nel congresso di St. Louis del dicembre 1888.

La formulazione fu tuttavia più vaga nel congresso “marxista”, per le preoccupazioni della socialdemocrazia tedesca che lo egemonizzò e cercò di evitare impegni precisi (come il laburismo inglese, la socialdemocrazia tedesca preferiva generici comizi e non un forte impegno di scioperi, che mettessero in campo tutta la forza operaia). I laburisti, peraltro, scelsero addirittura la prima domenica di maggio per fare innocui comizi in favore della riduzione d’orario, evitando di sospendere il lavoro insieme agli altri il 1° maggio.

In quella fase, emerse nettamente la concretezza dei sindacati statunitensi, che non riuscivano neppure a seguire molte delle polemiche politiche e ideologiche che dividevano la sinistra europea (tra l’altro, parteciparono a tutti e due i congressi), ma che, dopo il successo della giornata del il 1° maggio 1890, riuscirono a ottenere i primi risultati: varie categorie, dapprima nella industria del legno, e altre nel giro di pochi anni, raggiunsero le otto ore, o almeno le nove.

Nell’agosto 1891 un nuovo congresso socialista internazionale riunito a Bruxelles, in cui erano presenti 337 delegati di 15 paesi, tracciò un bilancio delle mobilitazioni del 1° maggio di quello stesso anno e di quello precedente, trasformando la celebrazione in una scadenza fissa annuale, pur concedendo ai molti recalcitranti che in quel giorno i lavoratori dovevano scioperare “dappertutto eccetto dov’è impossibile”: una frase lapalissiana, che sottintendeva che ogni organizzazione locale aveva la libertà di decidere che era impossibile, senza violare le decisioni comuni.

 Fin qui il mio stralcio. Non occorrono molti altri commenti. Non ci si salverà dal macello sociale che dalla Grecia alla Spagna all’Italia investe tutta l’Europa, se non ci sarà una nuova situazione rivoluzionaria. Non a caso la conquista delle 8 ore avvenne sull'onda della rivoluzione russa, anche in tanti altri paesi, che cominciarono a fare concessioni per timore del "contagio russo". Oggi una situazione rivoluzionaria può riproporsi se si parte dal rifiuto di pagare debiti contratti da altri per pagarsi le loro pensioni d’oro (Giuliano Amato, “tecnico dei tagli” e predicatore di austerità, percepisce una pensione di 14.000 euro al mese). O si finisce come stava finendo la Grecia, con salari e pensioni ridotte del 25% o 30%, o si deve rifiutare di pagare un debito contratto dai governi (in questo Grecia e Italia sono davvero sorelle, come dice il detto popolare ellenico…) soprattutto per comprare armi costosissime su cui non ci hanno mai chiesto il parere, e che sono servite anche ad assicurare tangenti multimilionarie a “magliari” e procacciatori d’affari come Lavitola o Belsito…

Per non essere massacrati, bisogna spazzare via questi burocrati bugiardi che chiamano lotta le passeggiate. Bisogna ricostruire dal basso un vero movimento sindacale degno di questo nome, e coordinarlo almeno a livello europeo, cominciando dall’impegno per sostenere la resistenza greca, che deve diventare la causa comune, come fu la Spagna nel 1936.

Non ci sono soluzioni parziali, bisogna ricominciare a identificare il nemico di classe, per combatterlo seriamente. È un compito che ricade contemporaneamente sui sindacati di base o autorganizzati e sulla FIOM, insieme a quei pochi settori della CGIL che non sono solo raccoglitori di contributi e distributori di prebende. E bisogna fare presto!

PS: a proposito di ipocrisia: sento nelle rassegne stampa del mattino che tutti sarebbero indignati perché Beppe Grillo avrebbe mancato di rispetto a Napolitano... Mi sembra incredibile, sarei stato meno moderato di lui: Napolitano parla e sparla senza ricordarsi che il suo compito non sarebbe quello di fare da sponda al centrosinistra angosciato per la crescita di un'opposizione. Napolitano non è mai stato al di sopra delle parti, è stato essenziale per far accettare agli ingenui la macelleria sociale affidata a Monti-Fornero. Se scende in politica, è giusto e anzi necessario criticarlo... 

Ps: Per chi volesse leggere tutto il capitolo senza cercarselo nel libro, che è abbastanza lungo, lo riproduco integralmente sul mio sito.

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