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Le crisi economiche e la ricerca delle soluzioni

Nel libro "La Grande Depressione" di Murray N. Rothbard (1926-1995) si affronta una prospettiva chiara e definita che imputa la causa principale dei crolli di Wall Street all’eccessiva concessione di crediti (rubbettino, 2008). E nel 2009 e nel 2010 abbiamo commesso gli stessi errori

Le crisi economiche e la ricerca delle soluzioni

L’ipotesi keynesiana che imputava la scarsità dei controlli e dell’intervento del governo americano, in parte non soddisfaceva lo stesso Keynes. Perciò anche l’ipotesi opposta può avere la sua validità. Rothbard riteneva il Governo la causa principale del crollo di Wall Street nel 1929, per le sue iniezioni di credito inflazionistico (1963). Secondo questo economista è l’eccesso di farmaci del governo che vuole fare il medico che intossica il capitalismo. E, come dicevano gli antichi romani, spesso la verità sta nel mezzo: potrebbe quindi essere che lo stato non faccia i giusti controlli sulla serietà dei soggetti che speculano in borsa, e che gli interventi del governo di immettere eccessiva liquidità non facciano altro che peggiorare le cose, conservando tutta una serie di progetti industriali e immobiliari insostenibili. E bisogna “notare che le risorse utilizzate per mantenere in vita attività inefficienti, o per le quali il mercato non esprime alcuna domanda, sono risorse sottratte al grande processo sociale di esplorazione dell’ignoto e di scoperta di soluzioni nuove” (Lorenzo Infantino).

Ci sono diverse teorie del ciclo economico che si possono integrare in una teoria generale dell’economia: quella del grande economista moravo-austriaco Josefh Alois Schumpeter (1883-1950), quella dell’austriaco Ludwig von Mises che prese la cittadinanza statunitense (1881-1973) e quella dello sfortunato russo Nikolaj Kondratiev (1892-1938). In sostanza sembrano esistere vari tipi di cicli, brevi (3 anni), medi (9 anni) e lunghi (55-70 anni), con incidenze sempre più profonde e gravi, collegate a diverse bolle speculative che si succedono più o meno regolarmente. “Si cerca di prevedere e anticipare i cambiamenti come meglio si può, senza che tali previsioni possano essere ricondotte a una scienza esatta. Se così non fosse, nell’attività economica non si realizzerebbero profitti, né perdite… Però come è possibile che gli uomini d’affari commettano tutti insieme un numero così grande di errori e come mai questi errori si materializzano improvvisamente alla stesso momento? Questo è il grande problema della teoria del ciclo” (p. 34-39). “L’essenza della recessione consiste in un riaggiustamento dell’economia, che si libera delle distorsioni createsi durante il periodo di boom, in particolare dell’eccessiva espansione nel settore dei beni capitali di ordine “superiore” (titoli e immobili) e del sottoinvestimento nella produzione di beni di consumo. Uno dei modi in cui il mercato trasferisce risorse dalla sfera dei beni capitali a quella dei beni di consumo è il declino relativo dei prezzi dei beni del primo tipo e l’aumento di quelli del secondo tipo”. I fallimenti e le contrazioni dei prezzi dei settori dei beni capitali (quelli speculativi) orienterà gli investimenti verso la produzione dei beni di consumo, ristabilendo così l’efficiente reattività alla domanda dei consumatori, che è la condizione normale di un’economia di mercato libera da interferenze (Rothbard, Introduzione alla seconda edizione). Gli imprenditori che sono stati indotti dall’espansione del credito bancario a fare investimenti sbagliati in beni capitali, vanno in crisi quando i consumatori ristabiliscono le proporzioni desiderate: il processo di aggiustamento consiste in una rapida liquidazione di investimenti disastrosi (p. 43). Se ciò viene permesso…

Quindi “l’inflazione del credito è un metodo attraverso cui il governo, il sistema bancario sotto il suo controllo (o viceversa come accade oggi) e gruppi politici (ed economici) privilegiati sono in grado di appropriarsi di una parte della ricchezza di altri gruppi sociali” (Rothbard, 1976).

Inoltre “ogni interferenza nella punizione inflitta dalla corsa allo sportello (dei correntisti) trasformerà le banche in uno speciale gruppo privilegiato, non obbligato a rimborsare i propri debiti: condurrà a successive inflazioni, espansioni del credito e depressioni” (p. 54). “Quanto più le autorità pubbliche intervengono per ritardare il processo di aggiustamento del mercato, tanto più lunga e grave sarà la depressione, e tanto più difficile risulterà il cammino verso una completa ripresa (p. 52). I prezzi all’ingrosso possono rimanere stabili perché l’inflazione monetaria compensata dall’aumento della produttività, abbassa i costi di produzione e i prezzi delle merci; però non si può eliminare il ciclo di espansione e di esplosione degli errori di valutazione (p. 221).

“Nel 1929, alcune azioni si vendevano a 50 volte gli utili (la regola tradizionale era di 10 volte). Un boom di mercato basato interamente su guadagni in conto capitale rappresenta semplicemente una forma di vendita a piramide. Alla fine del 1928, i nuovi fondi di investimento giungevano sul mercato alla velocità di uno al giorno ed erano realmente tutti archetipi di piramidi capovolte. Questi fondi dissennati, i cui attivi erano quasi interamente costituiti da ambigui pezzi di carta, fornirono al boom una sovrastruttura addizionale di carattere puramente speculativo; quando il mercato crollò, “l’alto leverage” funzionò in maniera inversa… i crolli svolgono una funzione economica essenziale (di riequilibrio)… Tutto quello di cui hanno bisogno è pazienza da parte del Governo, del mondo degli affari e del pubblico. La depressione del 1920 si risolse da sola in un anno. Se alla recessione fosse stato permesso di aggiustarsi da sola, la fiducia sarebbe tornata e la depressione mondiale non si sarebbe mai verificata. Il mercato azionario divenne invece un meccanismo di condanna, che portò alla distruzione l’intera nazione e, sulla stessa scia, il mondo intero (Paul Johnson, 1999, Introduzione).

Ancora nel 2010 quasi tutti sono alla ricerca della pietra filosofale della Causa Unica, invece di esaminare l’insieme delle relazioni delle concause. Per quanto riguarda la nostra attuale crisi, che può veramente esplodere o implodere, senza il giusto controllo e con esiti fatali a fine 2010, una delle cause principali “è la politica monetaria della Federal Reserve (americana). Si sa pure che altre circostanze si sono aggiunte, come le garanzie pubbliche sui mutui concessi dalle banche, la superficialità o l’avventurismo di molti operatori, l’inadeguatezza dei controlli” (Lorenzo Infantino, Prefazione), che hanno originato la bolla immobiliare e quella dei derivati di ultima generazione (i titoli spazzatura che sono l’equivalente delle accettazioni bancarie tedesche del ‘29). Forse in caso di emergenza, potrebbe quindi essere utile chiudere tutte le borse mondiali per almeno 6 mesi di “vacanza”. Si eviterebbe la degenerazione da panico e si costringerebbero così gli speculatori a convogliare la liquidità in investimenti in Ricerca e Sviluppo che danno molti ritorni economici a distanza di qualche anno.

Max Weber affermava che nessuno è portatore del punto di vista privilegiato sul mondo e che in tutte le epoche storiche e in tutti i continenti sono apparsi mercanti, banchieri, avventurieri, mercenari, furfanti, ladri, schiavisti e assassini. Ma il modo occidentale è riuscito a dar vita ad un capitalismo diverso: l’organizzazione razionale capitalista (Sociologia delle religioni, 1976).

Cerchiamo allora di mettere al sicuro i nostri soldi e usiamo il cervello, senza affamare e senza armare mani assassine. Ma forse è meglio pensare che gli uomini non possono controllare più di tanto i cicli naturali dell’economia: possono solo accelerarli o ritardarli o contenerli. E accade semplicemente che più un’economia è globalizzata, più grandi sono le sue crisi. E gli investimenti andrebbero sempre fatti in cose utili e vantaggiose come le tecnologie e la formazione. Inoltre i sistemi sociali sono strapieni di circoli viziosi e circoli virtuosi dove è molto difficile determinare cosa causa cosa: si può solo verificare che a certi fenomeni si correlano altri generi di fenomeni. L’unica cosa sempre giusta potrebbe essere quella di tassare i redditi da rendita di più dei redditi da lavoro per incanalare il capitale in direzione della produzione e della ricerca e sviluppo.

Anche un personaggio molto discusso come Hervé Falciani, che è un esperto informatico, figlio di un bancario e cresciuto in un paradiso fiscale come Montecarlo, ha espresso un’opinione molto critica nei confronti delle banche attuali, sempre più inclini ai giochetti sporchi e al riciclaggio: “basta vedere cosa è stato fatto con il fondo europeo. Sono 750 miliardi di euro, ma in garanzie bancarie. Serve a pagare i debiti dei Paesi, come la Grecia. Ma i debiti dove sono? Nelle banche. È come prendere da una tasca per metterla nell’altra. La differenza c’è. Sono gli interessi. Chi li paga? Noi cittadini. E a chi? Alla banca. Questa è la base del sistema finanziario che mette in pericolo l’economia” (Corriere della Sera, venerdì 28 maggio 2010). Poi c’è da aggiungere che le perdite delle banche in titoli derivati non vengono iscritte a bilancio. E io mi chiedo: cosa farebbe una banca se scoprisse che una sua azienda cliente ha i bilanci falsificati o truccati?

Comunque c’è chi dice che se si chiede un’analisi economica a nove economisti si ottengono almeno undici opinioni diverse… E i soli economisti capaci di prevedere l’inizio della madre di tutte le crisi sono stati Paolo Sylos Labini, Lyndon LaRouche (www.movisol.org) e Nouriel Roubini, che ha studiato alla Bocconi. E c’è una nazione, il Canada, che gode di ottima salute economica, anche perché riesce a far rispettare le regole ferree stabilite nei confronti di banche e aziende. Infine riporto l’opinione di un grande banchiere di altri tempi: "una caratteristica comune alle compagnie che falliscono è la tendenza a strapagare i top manager” (J. P. Morgan, fondatore dell’omonima banca d’affari).

Nota – L’Italia rappresenta la terza riserva mondiale di oro, dopo Stati Uniti e Germania. L’ammontare delle riserve auree dei paesi europei supera di cinque volte quello statunitense. Le banche più grandi e perciò a maggiore rischio sistemico sono concentrate in Giappone e sono ben cinque. Perciò alla fine dei conti e anche nel caso del peggior scenario possibile, e cioè l’avvento della madre di tutte le crisi, gli europei e gli italiani potrebbero cavarsela molto meglio degli abitanti degli altri paesi. A parte i paesi in via di sviluppo che hanno molti meno debiti delle economie una volta considerate più forti: Brasile, India, ecc.

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