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Le Quattro Giornate di Napoli. Passato presentissimo

 

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Poiché anarchici nelle Quattro Giornate non ne trovi, la domanda è inevitabile: dopo Merlino, Malatesta e l‘Internazionale, tutto ciò che sopravvive a Napoli della fertile tradizione libertaria è il coraggio di Maria Bakunin?

Basta poco per capire che è impossibile, purtroppo, però, se non «fanno folclore», non sono lazzari o bambini-soldato, più incoscienti che eroi, se non portano acqua al mulino del «vento del Nord», i protagonisti della Resistenza in Campania sono nomi in un elenco. Si sa se sono militari o civili, adulti o adolescenti, capi o gregari, ma è raro che emerga la fede politica. Se non si fosse prestata tanta attenzione agli scugnizzi, ci saremmo stupiti di piazze armate senza i militanti di un movimento così presente nella storia della città e così legato alla teoria e alla pratica dell’insurrezione. Un’assenza tanto più sospetta, quanto più chiaro è il timore di Badoglio, che lascia gli anarchici al confino finché può e a Napoli c’è il caso-limite di Roberto Sarno, liberato addirittura tre mesi dopo la caduta del fascismo, il 21 ottobre del ‘43.
Si prenda il caso di Tito Murolo, comandante del quartiere Vasto, che presidia una importante via di accesso alla città e ostacola gli spostamenti dei nazisti verso Poggioreale. Di lui si sa che è un civile, forse ferroviere, ma nessuno si avvede che è fratello del comunista Ezio Murolo, nemmeno chi ne conosce la storia e indica come dato caratteristico della rivolta la presenza di «famiglie partigiane». Eppure la vicenda di Ezio conduce a quella di Tito, come appare chiaro da questa lettera:

«Parigi, 19-11-1925 35, Rue de Varenne, Paris VII
“Un po’ di tutto” – Rivista Italiana Mensile diretta da Tito Murolo
Carissimo Ezio, non so spiegarmi questo tuo silenzio prolungato. Ti prego di farmi tenere subito tue nuove e dei nostri, che non si degnano di rispondermi. […] Le cose cominciano ad andare molto meglio. Ti ho scritto da Spa, Liegi e da Parigi,


In attesa ti abbraccio,
tuo aff.mo Tito».

Inconsapevoli, paradossali, ma preziosi custodi della memoria storica, gli archivi di polizia narrano la storia di due fratelli uniti dall’ostilità per il regime, benché su posizioni politiche diverse: Tito, infatti, giornalista e non ferroviere, è anarchico, mentre il fratello per la polizia è comunista, ma è evidente: entrambi portano nell’insurrezione la loro militanza antifascista e una consapevole visione politica del Paese da ricostruire. Del libertario, la polizia disegna un profilo buio:

«Murolo è di pessimi precedenti morali per i numerosi processi e le condanne subite per furto, appropriazione, prevaricazione, falso e diserzione in tempo di guerra, per la quale fu condannato all’ergastolo».

In realtà, furto e truffa sono montature ed è stato assolto: «il fatto non costituisce reato». In quanto alla diserzione, che un’amnistia cancella dopo la «grande guerra», è la scelta politica di una intera generazione di antimilitaristi. La condanna per appropriazione c’è stata: emessa all’estero, ha colpito un «immigrato sovversivo» in nome di una legalità di parte che ignora la giustizia sociale. Qui ognuno risolva con se stesso la questione del tempo: parliamo di ieri o di oggi? La verità, per stare ai fatti, è che la Questura vuole un «atto di comparizione per oziosi vagabondi e pregiudicati», che porti Murolo davanti alla Commissione per l’ammonizione e ne faccia una «persona pericolosa per la sicurezza dello Stato». Il problema del «tempo» stavolta non c’è: ieri come oggi, per questo genere di cose in polizia ci sono maestri e tra i magistrati non mancano servi ambiziosi e utili idioti.

Chi è Tito Murolo dal punto di vista del potere? Un autentico «nemico del nuovo ordine fascista»: ha dissipato «la quota patrimoniale assegnatagli dal padre, […] mena vita randagia e dissoluta» a spese del fratello e «non offre alcun affidamento». Su questa falsariga, la polizia tesse la trama di una vita: Murolo espatria in Francia nel 1922, da lì passa in Algeria, poi di nuovo in Francia e infine in Belgio. E’ il ritratto, falso ma verosimile, di un irrequieto che non si ferma mai, un asociale, «randagio» per scelta di vita più che per necessità. La realtà è che in Italia Murolo è atteso da fascisti e questurini e all’estero, per evitare espulsioni, gli occorrerebbero documenti, lavoro e una vita lontana dalla politica. Invece, dove si ferma, là nascono guai. E’ un giornalista, si arrangia, diventa cameriere avventizio, ma in Algeria l’accusano di «un complotto contro Sua Eccellenza il Capo del Governo», a Bruxelles lo segnalano per le sue idee anarchiche e persino l’amicizia con Arturo Labriola, che è stato sindaco, deputato e ministro, ma è antifascista, costituisce una pessima credenziale. Non ha sparato al Bataclan solo perché la polizia non legge il futuro.

Il 3 gennaio 1932 tenta di passare l’ennesimo confino per rientrare in Italia, ma a Bardonecchia lo arrestano e gli ritirano il passaporto. A Napoli l’aspettano l’ammonizione e una serie di guai con la giustizia, braccio armato di una dittatura che non dà pace ai «sovversivi». Quando, oppresso dalla sorveglianza, prova a rifarsi una vita a Imperia, gestendo un albergo con Maria Schaunir, la moglie berlinese, le cose gli vanno male, ma non s’arrende. Vende tutto, si improvvisa «produttore di ingrandimenti fotografici per conto di una ditta di Torino» e nel 1936 trova finalmente lavoro in una fabbrica di esplosivi, a Cosseria, nei dintorni di Savona. Ora sì, ora sembra ridotto alla ragione: non è iscritto al partito fascista, ma ha la tessera di un sindacato corporativo e si guarda bene dal manifestare dissenso. Potrebbe bastare, ma come nei nostri tempi agli uomini della lotta armata si fanno sconti di pena e condizioni carcerarie più umane solo in cambio del «pentimento», così i fascisti pretendono partecipazione attiva alla vita del regime. Non basta tacere, c’è da fare il pupo e applaudire nelle adunate, sicche gli storici diranno che c’era consenso. Murolo non lo fa. Il silenzio così sa di disprezzo e dà più fastidio di un manifesto antifascista. Fino al 1940 tra lui e il regime c’è una precaria pace armata, poi la guerra del duce riapre le ostilità e il Prefetto di Savona, un modello di fascista zelante, va per le spicce. Come si fa oggi con chi si ribella agli esportatori di democrazia, il Prefetto chiede a Mussolini che Murolo

«sia fatto licenziare subito dallo stabilimento e fatto allontanare anche da Cosseria con foglio di via obbligatorio per Caivano con diffida a non tornare più in […] zona. Considerati i pessimi precedenti che lo definiscono soggetto particolarmente pericoloso, tenuto conto che non ha dato prove concrete di serio e sincero ravvedimento, il Murolo costituisce nell’attuale momento un serio e costante pericolo non solo per lo stabilimento “Ammonia e Derivati!” nel quale è occupato, ma anche per gli altri importanti stabilimenti ausiliari esistenti in questa zona».

Frequenta moschee, avrebbe scritto oggi che il tempo s’è fermato. Giunsero, come oggi giungono, un nuovo foglio di via e un nuovo rimpatrio. Anarchico o musulmano, però, non è la repressione che vince la partita e Murolo cacciò e caccerà i barbari durante le Quattro Giornate.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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