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Lavoro, la formazione efficace

La formazione è il ”processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori e agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e all’identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi”. Così recita il Dlgs 81/08 all’art. 2

Il riferimento al processo educativo, indica chiaramente che non si tratta di realizzare un’attività, pur ricorrente, come adempimento formale, magari allo scopo di evitare sanzioni.

Il processo educativo è un complesso di attività aventi l’obiettivo di consentire a ogni individuo di acquisire conoscenze sulla prevenzione dei rischi durante il lavoro, arricchendole nel tempo; di ottimizzare le proprie capacità operative; di sviluppare la consapevolezza che in ciascun ambiente di lavoro, la prevenzione e la protezione hanno importanza primaria. Per trasformare questo principio nella più formidabile misura di prevenzione, è necessario che sia condiviso tra tutte le figure aziendali: il datore di lavoro con i dirigenti, il RSPP, il medico competente, ogni preposto, insieme ai lavoratori con i RLS. La condivisione tra le figure coinvolte, crea la cultura della sicurezza nel luogo di lavoro, la diffonde e la salda con gli insegnamenti teorici e l’organizzazione aziendale, rendendo reale e praticabile il principio di tutela della salute e sicurezza nel luogo di lavoro.

Quando la prevenzione è sacrificata ad altre priorità, come la produttività, i lavoratori percepiscono che la realtà è diversa dalle dichiarazioni di principio e la sicurezza può essere trascurata. La divergenza fra il detto e il realizzato, lascia passare come reale, ciò che è fatto.

Quando ciò che è detto nelle aule di formazione è diverso da ciò che avviene nella realtà, durante il lavoro, si genera una contraddizione profonda che condiziona i comportamenti dei lavoratori. A subirne le conseguenze maggiori sono i preposti che devono vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza, mentre sono istigati a farle disattendere o violarle in prima persona in ossequio alle esigenze della produzione. Le premesse per comportamenti dissociativi ci sono tutte.

Il miglioramento della sicurezza durante il lavoro richiede l’eliminazione delle incongruenze. Essendo la formazione informale quella che influenza maggiormente il pensiero e di conseguenza i comportamenti delle persone, occorre evitare che abbia il sopravvento sulla formazione formale.
Occorre sfruttare i vantaggi della formazione informale che è convincente perché si diffonde più facilmente. Perciò è d’obbligo che ci sia coerenza fra teoria e pratica: l’esempio concreto, ricorrente, che la generalità dei lavoratori può valutare direttamente, incide molto di più delle enunciazioni teoriche.

Vogliamo che la cultura della sicurezza cresca? Ciascuno, riguardo alla propria funzione, deve lanciare segnali chiari e inequivocabili sulla priorità della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza”. Così deve essere la formazione secondo l’art. 37 del D.lgs. 81 e l’Accordo Stato Regioni. Benissimo! Mancano, però, i punti di riferimento: rispetto a cosa deve essere sufficiente e adeguata a fare che? Insomma, appare chiaro che le norme sono vaghe su come deve essere condotta la formazione.

Il legislatore ha creato un’area d’indeterminatezza che lascia libertà d’interpretazione ai progettisti di percorsi formativi, che, di conseguenza, non rispondono a un criterio di omogeneità, che pure sarebbe necessario.

L’Accordo Stato Regioni spinge a far prevalere la trasmissione di conoscenze sull’acquisizione dei comportamenti. Cercare di stimolare l’arricchimento culturale delle persone, d’altra parte, è più difficile che trasferire nozioni.
Per un docente, è sufficiente anche solo preparare delle buone diapositive da proiettare in aula o padroneggiare l’argomento per far passare qualche nozione. Per stimolare crescita culturale e modificazione di comportamenti, invece, è necessario confrontarsi con le persone e il loro modo di interpretare la realtà.

Al formatore, in questo caso, è richiesta capacità di ascolto e confronto. Deve essere in grado di valorizzare esperienze e diversità, gestire conflitti oltre che le emozioni, non solo le proprie. Così i contenuti non sono più lo scopo dell’attività formativa, ma diventano le chiavi d’accesso all’apprendimento di secondo livello: impara a imparare! Quando hai imparato ad apprendere, sei entrato in possesso di una competenza che puoi spostare da un ambiente all’altro con facilità.

Nel muro della vaghezza normativa, però, l’Accordo Stato Regioni con l’art. 3 una breccia la apre: “La metodologia d’insegnamento/apprendimento privilegia un approccio interattivo che comporta la centralità del lavoratore nel percorso di apprendimento”. E’ anche opportuno, secondo l’art. 3, “prevedere dimostrazioni, simulazioni in contesto lavorativo e prove pratiche” e anche “garantire un equilibrio fra lezioni frontali, esercitazioni teoriche e pratiche e relative discussioni nonché lavori di gruppo... prevedere dimostrazioni, simulazioni in contesto lavorativo e prove pratiche…”. Si tratta di indicazioni poco precise, ma aprono a percorsi di formazione che puntino alla modificazione dei comportamenti più che alla memorizzazione di nozioni.

Che la formazione debba essere calibrata sulla persona è timidamente auspicato anche dal D.lgs.81/08 quando prescrive che il contenuto deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e che consenta loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Anche la prescrizione che, se la formazione riguarda lavoratori stranieri, sia verificata la conoscenza e comprensione “…della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.”, indica attenzione per la sostanza più che per la forma (sia pure con linguaggio oscuro). Significa che la padronanza della lingua italiana rende assimilabili i contenuti e dispone alla modificazione dei comportamenti, necessaria per lavorare in sicurezza. Viene spontaneo, anche, osservare che le ripetute rilevazioni sconfortanti sulla comprensione della madre lingua da parte dei cittadini italiani, consiglierebbe di avviare la stessa verifica anche per i lavoratori italiani.

In definitiva, la formazione sarà efficace quando chi è stato coinvolto, sarà capace di elaborare ragionamenti autonomi riguardo alla sicurezza. Quando il lavoratore sarà in grado di adottare comportamenti idonei a prevenire i rischi, scegliendo fra diverse possibilità anche in presenza d’imprevisti.

E’ noto che l’80% degli infortuni è dovuto all’errore umano, cioè all’adozione di comportamenti non sicuri. Potremo dunque considerare adeguata la formazione quando avrà contribuito a ridurre, se non eliminare, quella elevatissima percentuale di eventi indesiderati che non cessano di verificarsi.

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