• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca Locale > Lavoro a Taranto: un grande futuro alle spalle

Lavoro a Taranto: un grande futuro alle spalle

E' di pochi giorni fa la notizia della estemporanea manifestazione di protesta dei lavoratori precari dell'Amiu sotto la casa del sindaco di Taranto, Ippazio Stèfano, per un incontro finalizzato allo sblocco di una annosa vertenza per la propria assunzione in azienda.

Solitamente il luogo preposto a questo tipo di manifestazione è lo spiazzo antistante Palazzo di Città, il Municipio ubicato appena all'interno della Città vecchia del capoluogo jonico.
 
Solitamente, chi passa da quelle parti si imbatte spesso in gruppi più o meno nutriti di lavoratori incazzati che manifestano e difendono con tutte le armi civilmente possibili la sopravvivenza al diritto di un pezzo di pane. Spesso avvelenato, ma questo è un altro discorso. Trovare lavoro a Taranto è come trovare parcheggio per un autocarro a rimorchio in pieno centro nelle ore di punta.
 
Taranto, da anni, vede la propra situazione occupazionale precipitare giorno dopo giorno.
 
A partire dagli anni del fantomatico dissesto del Comune (fallito come una Parmalat qualisiasi) la città dei due mari ha visto la propria già debole economia affondare inesorabilemente nelle sue realtà avviate e negare credibili promesse di futuro ai proprio ragazzi.
 
Due le realtà emblematiche di questa città: l'Ilva ed il call center di Teleperformance. La tradizione la prima, l'appiglio ad un fragile futuro il secondo.
L'Ilva è benficiaria di una eredità pesantissima che ha il proprio de cuis nell'Italsider.
 
Gruppo IRI, quindi statale, dai primi anni 60 fino al 1995 quando viene acquista dal gruppo privato facente capo a Emilio Riva. Da allora un ridimensionamento numerico ed organizzativo della azienda.
 
Snellente per i costi e improntato a cercare sempre voci in positivo da mettere in bilancio. Con risultati non sempre incoraggianti sul piano delle garanzie di sicurezza sul lavoro e di tutela dell'ambiente.
 
Su queste ultimo aspetto poi le polemiche sono letteralmente all'ordine del giorno.

Per dare un idea del livello di nervosismo sulla questione basterebbe citare il caso di Fabio Mattacchiera, attivista ambientalista e blogger tarantino, che a dicembre 2010 si è visto ricevere dall'Ilva una querela per diffamazione per aver osato ripendere con una telecamera a infrarossi le immissioni notturne delle ciminiere industriali.
 
Insomma un territorio che sta pagando caramente la garanzia di un posto di lavoro.
Garanzia peraltro fiaccata dalla applicazione all'interno del siderurgico di contratti atipici, a tempo determinato, a progetto, a chiamata e con il diffuso uso della cassa integazione invalso a ridosso della recente crisi finanziaria. Dall'altra parte c'è Teleperformance. Duemila operatori a tempo indeterminato. Duemila giovani. Molti diplomati e laureati. 70 % donne.
 
Molte famiglie nate sull'onda di una regolarizzazione insperata giunta nel 2007 grazie alla volontà della azienda di investire sul futuro e su un servizio di eccellenza per le aziende commissionanti assistenza per i propri clienti oltre che al sostegno della Regione Puglia grazie ai finanziamenti per le imprese che investono sul territorio. E che non devono poi scappare.
 
Anche a Taranto, però, un mercato del lavoro cinico e ispirato ai dettami dell'iperliberismo crea le proprie tragedie occupazionali. Quello dei call center non è pienamente regolarizzato. Anzi. Un lavoro lasciato a metà dalla circolare Damiano e non ripreso, dal successivo governo Berlusconi, attraverso l'attuale ministro del Lavoro, Sacconi.
 
Quindi un mercato che soffre dumping e concorrenza sleale. Quindi call center che delocalizzono il lavoro nei Paesi asiatici o del Terzo Mondo per spendere meno sui costi rappresentati dagli stipendi degli operatori. Call center che continuano a pagare a progetto come fa ancora la maggior parte di essi.
 
Call center platelmente illegali.
 
Il sistema non regge più e l'anno scorso Teleperformance ha aperto le procedure di mobilità dichiarando circa 847 esuberi tra le sedi di Taranto e Roma. Rientrati gli esuberi si è concordata l'applicazione dei contratti di solidarietà (lavorare, e guadagnare, meno, lavorare tutti). A giugno scade il primo anno. Per un eventuale rinnovo sarà necessario riaprire le procedure di mobilità. Ovviamente l'economia di Taranto è fatta di molti altri settori. Diversi. Ma accomunati tutti e in maniera inquietante da' affanno, sofferenza e da uno stato di costante annaspata sopravvivenza.
 
Sintomi e spettri di fallimento dettati ultimamente dalla crisi, ma figli di una condizione di disagio economico e sociale che ormai cronicizzato negli anni non ha mai allentato la presa sul nostro Sud.

Gli esempi dell'Ilva e di Teleperformance, parlano di Taranto ma dicono di tutto il mondo del lavoro. Tracciano un ideale linea di congiunzione tra il passato delle ciminiere ed il futuro di un pc collegato ad una rete telefonica. In mezzo un presente sfiduciato che interrogandosi sulle proprie sorti non può che immaginarlo lontano da qui.

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares