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Last Summer, di Leonardo Guerra Seràgnoli

 Riuscirà la giapponese mamma Naomi, a conquistare il suo riccioluto bambino Ken, che non rivedrà più nei successivi undici lunghi anni? Parteggiamo per lei. Non sappiamo perché ci sarà questo allontanamento, al figlio lei dice di aver fatto qualche errore. Il papà ricco e danaroso – lo immaginiamo americano - che non vediamo e che ha in custodia il bambino, li fa incontrare per quattro giorni nel suo yacht-veliero, accuditi dallo skipper e dal personale di servizio, dipendenti ovviamente fedeli e ossequiosi di questo papà e padrone.

Il bambino sembra "l'ultimo imperatore", ha una giovane nurse tutta per lui, alla mamma dapprima non si avvicina, una perfetta estranea, si scopre poi la vera ragione: "Allora vai via vero?", ha paura di perderla un'altra volta e così è spiegato il suo risentimento iniziale. Tra lei e il figlio il muro invalicabile del personale di servizio e solo sguardi lontani.


 
Nella sua corsa contro il tempo la mamma sperimenta le sue arti, gli parla nella lingua madre, si mostra naturale e discreta e il bambino le si avvicina . La cifra del film è il sentire intuitivo e sentimentale tra i due. Siamo ospitati anche noi spettatori in questo veliero di prima classe, magione galleggiante nel canale di Otranto, prigione dorata e disciplina amorevole per questo bambino. 
 
Della mamma gli resterà una scampagnata a terra loro due soli e complici, l’unica notte, l’ultima, dormita nello stesso letto e una maschera nipponica che lei gli aveva portato in dono e sembra legarlo a sé per sempre. Film elegante e di solo sentire, le parole contano poco, con il tocco di Banana Yoshimoto che ha collaborato alla sceneggiatura.

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