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La vita e il Cristianesimo

Iniziano le discussioni sul testamento biologico...

Nell’ambito delle discussioni sul testamento biologico si profilano idee davvero particolari e quasi inquietanti. Tra queste vi è quella di coloro che sostengono che in ogni caso bisogna far di tutto per salvaguardare la vita o, per meglio dire, le funzioni biologiche dell’individuo, visto che definire la vita è piuttosto difficile. Quanti sostengono il valore assoluto della vita e dunque la necessità, per così dire, superiore di preservarla in ogni caso, oltre ad essere in contrasto con la dottrina cristiana, dicono pure cose francamente insostenibili. Che idea balzana hanno della vita queste persone, che criticano chi sostiene che l’uomo può disporre di essa?

Non possiede altro l’uomo di sicuro, di stabile, di durevole, se non la sua vita e gli si vuole pure togliere il possesso di questa? In nome di cosa, poi? In nome dell’assoluta necessità di evitare la morte. Che è come dire che la vita non deve essere altro che una lotta contro la natura. Perché niente è più naturale della morte. Lo scrive Leopardi: “Mostrami un uomo, o una bestia, o una pianta, che non muoia”. Queste persone vogliono non solo togliere agli uomini l’unica cosa che hanno, ma pure costringerlo a combattere contro la natura, con tutte le proprie forze, pure quando non ne hanno più di forze e non parlano, non reagiscono, non pensano. Pure quando non si cosa siano, se uomini, o bestie, o piante o che altro.


E questa costrizione, cioè l’imposizione delle cure in qualsiasi caso, è una lotta contro la natura e contro Dio, che agli uomini ha voluto dare il libero arbitrio, la possibilità di scegliere, di scegliere bene o di scegliere male, ma comunque di scegliere. Chi toglie all’uomo la possibilità di scegliere pecca non contro l’uomo, ma contro Dio. Questo è il motivo per cui chiaramente un cristiano non può accettare qualsiasi forma di schiavitù, perché è come togliere il libero arbitrio a chi l’ha ricevuto da Dio. E’ come lottare contro Dio.

Scrive Panebianco sul Corriere della Sera in merito a chi ritiene che ciascuno possa decidere della propria vita e di quel momento della propria vita che, come scriva Barbara Spinelli è il morire: “Non è vero che essi si limitano a rivendicare un «diritto» che i credenti sono liberi di non praticare. Perché pretendendo una legge che riconosca quel diritto essi, per ciò stesso, intendono fare prevalere la loro concezione della vita e della morte, imporre il principio secondo cui la decisione sulla morte di un uomo è nell’esclusiva e libera disponibilità di quell’uomo. “E in quale disponibilità è la vita di un uomo, se non nella sua! Il pensiero di Panebianco è proprio l’anti - Cristianesimo, perché pensare che l’uomo non abbia la disponibilità della propria vita è negare il libero arbitrio, è come dire che l’uomo non ha possibilità di scelta. Il che è contrario prima di ogni altra cosa alla religione cristiana. Un ateo o un non-cristiano forse può credere che l’uomo non abbia la possibilità di scegliere, che non tutti gli uomini siano uguali e liberi. Un cristiano, assolutamente no. Si arriva a queste teorie impensabili, quando si impone l’idea dell’assolutezza del valore della vita terrena.

Che, anche questa, può essere forse sostenuta da un non-credente, che non credendo in altra vita che in questa le attribuisce un valore assoluto. Ma certo non può essere sostenuta da un credente, ben consapevole che questa vita, in confronto alla vera vita ultraterrena, è poco o nulla e in ogni caso mezzo e non fine. Ammettendo che questa vita abbia un valore assoluto e non sia quindi mezzo, ma fine, come nota il filosofo Severino, l’uomo farebbe di tutto per evitare la morte. Un cristiano, ad esempio, non andrebbe certo in Africa a fare il missionario, tra mille malattie, disgrazie, guerre e sventure. Se lo fa, è solo perché considera questa vita un mezzo attraverso cui fare del bene e ottenere la vita eterna.

E certo nel momento in cui decide di fare il missionario conosce bene i rischi di morte impliciti nella sua missione, sa bene di avvicinarsi più alla morte che non stando a casa. Il che, supponendo l’assoluto valore della vita terrena, sarebbe assurdo. Perciò per un credente è sbagliato dire che il fine ultimo dell’uomo è il prolungamento della sua vita, poiché in realtà è fare del bene. Il valore assoluto è il bene, non la vita, che è mezzo attraverso cui realizzarlo.

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