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La violenza del delirante "nulla"

Sergio Givone è un filosofo italiano di area cattolica, ordinario di estetica all’Università di Firenze ed assessore alla cultura del capoluogo toscano ai tempi di Renzi sindaco.

Da anni si occupa di nichilismo e ha sviluppato una sua ricerca approfondita sulle origini delle basi concettuali del nichilismo, su cui ha pubblicato nel 1995 un interessante libro titolato, appunto, Storia del nulla, un articolato spaccato che parte dalla prima teologia cristiana sulla creatio ex nihilo, che affronta la speculazione gnostica che identificava Dio con il Nulla stesso, per arrivare ad approfondire la proposta mistica di Meister Eckhart, base di tanta filosofia occidentale (e dei tanti orrori - primo fra tutti la devastazione della Shoah - che quella filosofia ha saputo generare).

Oggi ripropone le sue riflessioni sull’Espresso in un articolo che ricalca questa sua lunga ricerca, aggiornandola ai fatti di cronaca: “La violenza viene dal nulla” propone infatti le sue riflessioni sulla violenza contemporanea, spaziando dallo sterminio nazista degli ebrei ai tagliagole del jihadismo, dai femminicidi al terrorismo omofobico fino alla fatuità rissosa degli hooligans. Espressioni diverse che, secondo l’autore, hanno comunque radici ben piantate nel fondo dell’animo umano.

Ed è lì, aggiunge, che la violenza «va stanata se vogliamo capirci qualcosa». È lì, nelle profondità dell’animo umano, che se ne scopre la motivazione: «poiché l’altro e il diverso ci minacciano nella nostra identità, invece di mettere in questione questa pretesa identità preferiamo opporci all’altro, al diverso, allo straniero. Fino al loro annientamento».

Fino a qui ci sarebbe poco da obiettare, anche se l’idea che la violenza sia ben radicata nel fondo dell’animo umano ha il sentore più che conosciuto di “peccato originale” cui siamo abituati fin da quando Paolo di Tarso decise che quello era il significato “vero” della trasgressione di Adamo (ma falsificando il testo biblico).

Poi però Givone sembra oscillare tra due ipotesi contrastanti. Dapprima ipotizza infatti che la violenza possa sembrare originata da «una pulsione connaturata all’essere umano», salvo poi sostenere che ciò «si presta a più di un equivoco». Ribadisce quindi la solita vecchia storia sull’origine umana nello stato di natura, dove «vige una sola legge: uccidere o essere uccisi», dove cioè «homo homini lupus», per affermare subito dopo che sarebbe lecito «dubitare che la nostra origine sia davvero quella» (quella “di natura”) perché l’uomo è anche “cultura”, cioè etica.

Vale a dire controllo cosciente e razionale degli istinti animaleschi.

Lo stato di natura, in sostanza una bruta bestialità assassina, non sarebbe quindi quello originario, perché noi uomini «siamo fatti per altro», per «essere quelli che dovremmo essere, ossia creature capaci di moralità». Lo dimostrerebbe, scrive, una semplice constatazione: «l’uomo che si comporta come nello stato di natura non è un uomo. È un animale selvaggio, una bestia, un mostro, ma non un uomo».

La violenza non apparterrebbe all’uomo perché «lo degrada, lo svilisce, lo rende indegno». È qualcosa di non umano che l’autore spiega ricorrendo ad uno dei tòpos fondanti della civiltà occidentale, lo schema della doppia natura cui la teologia ricorre per spiegare il mito del peccato originale: «la metafisica parla di una natura decaduta e di una natura originariamente integra, a significare l’abdicazione dell’uomo alla propria umanità».

Con il peccato di Adamo l’uomo avrebbe abdicato alla perfezione delle origini (concetto implicito: perfette perché così volute da Dio). In sintesi l’uomo sarebbe “per origine” etico, cioè capace di essere non violento (perché questo era il disegno iniziale), ma all’origine “perfetta” si abdica continuamente, scrive, e allora ogni pretesto è buono per scatenare la violenza.

Ma allora da dove viene la violenza? «Dobbiamo scendere ancora più a fondo in quel fondo senza fondo che è l’anima dell’uomo. Per trovare che cosa? Per trovare ciò per cui l’uomo è davvero fatto, per trovare la vera origine dell’uomo. L’uomo non è fatto per fare il male. L’uomo è fatto per fare il bene o il male (...) e questo vuol dire che l’uomo si trova originariamente, in ogni momento della sua vita, a scegliere: fra il sì e il no, fra l’essere e il non essere, fra la vita e la morte».

È in questo momento originario che l’amletico “momento della scelta” fra essere e non-essere si caratterizza, secondo il filosofo, per essere il «momento vertiginoso della libertà. Vertiginoso perché non è che esperienza del nulla».

Ed è esperienza devastante: «come può essere seducente il nulla, che fascino emana dalla distruzione, e come è tentante il nulla! Ecco l’origine della violenza: la seduzione del nulla. Autentica cifra della violenza è l’annientamento e cioè la scelta del nulla».

Questo è la scelta del fanatico terrorista come dell’uomo che uccide la donna (qui almeno non ci viene riproposta la solita ignobile solfa del “grande amore” che l’assassino proverebbe per la vittima!) che distruggono se stessi mentre distruggono l’altro: «la distruzione è tutt’uno con l’autodistruzione, l’annientamento con l’autoannientamento, l’omicidio con il suicidio».

Infine «la violenza viene dal nulla, vuole il nulla, va verso il nulla». Perché la violenza è nichilismo, «non è in funzione di questo o di quello, ma è fine a se stessa».

Alla fine dobbiamo ipotizzare che la filosofia contemporanea si sta avvicinando - per appropriarsi dell’idea o per svuotarla di contenuto? - al concetto di pulsione di annullamento che lo psichiatra Massimo Fagioli propose nel 1971 nel suo Istinto di morte e conoscenza; libro che ha il merito fondamentale di chiarire come il “nulla” non sia qualcosa che esiste nella realtà, ma piuttosto attività prettamente umana, base fondamentale della malattia mentale.

Non quindi uno "stato di natura animalesco" - gli animali non conoscono la pazzia (le alterazioni da encefalopatia spongiforme non sono malattia della "mente"!) - né una degradazione allo stato bestiale dalla perfezione dell'essere "culturale", o etico, ma attività mentale in cui l'uomo patologicamente "crea" un nulla, delirando di far sparire l'altro da sé per riuscire a determinare in realtà nient'altro che il proprio vuoto interiore.

Quel vuoto interiore che è il nulla all'origine della violenza.

Senza questa comprensione non restano che le due ipotesi fin qui delineate dal pensiero religioso (l’uomo è naturalmente peccaminoso per aver abbandonato la perfezione della creazione) o filosofico (l’uomo è violento perché tale è il suo animalesco “stato di natura” in cui degrada ogni volta che abbandona l’etica): le due fantasmagoriche ipotesi su cui si è radicata la civiltà occidentale, dalla memoria curiosamente corta sulle devastazioni che essa stessa ha determinato nella storia.

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