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La vera storia del Parlamento del nord (e perché questa volta non funzionerà)

"Riapriremo il Parlamento del nord", tuona Bossi. Cos'è stato il Parlamento del nord e perché questa volta non funzionerà.

Arriva la primavera del 1996 e da Pontida, Bossi dichiara l’indipendenza della Padania. La Lega, sempre più "partito di lotta", galvanizzata dal successo elettorale del 1996 (oltre il 10% dei voti), capisce che spingere sulla strada della secessione rendendo estremo i dibattito è la strategia giusta per raccogliere consenso.

Il clima si fa sempre più teso. Maroni, ex Ministro dell’Interno della Repubblica italiana, nel dicembre 1996 usa parole dal suono minatorio per commentare la visita del Presidente Scalfaro a Mantova: “Avrà l’accoglienza che merita ogni capo di Stato estero, è già tutto pronto”. Nel caso non fosse chiaro, Maroni precisa che “parlavo di accoglienza degna di un capo di Stato, sottintendendo però che si tratta di un Paese non amico.

Il governo provvisorio della Padania non sarà presente ufficialmente perché le relazioni diplomatiche con l’Italia sono rotte. Dunque né io né gli altri ministri ci saremo. Ciò non impedisce comunque alla Lega di manifestare il proprio disappunto. Le assicuro che tutto è stato molto bene organizzato e Scalfaro si ricorderà a lungo di quest’accoglienza”.

In origine fu il Parlamento di Mantova. Era il giugno 1995 e la Lega Nord inaugurava il suo parlamento per “ficcare il naso negli affari che non sono chiari”. Si trattava di un parlamento non elettivo e, nelle parole di Bossi, neppure con potere legislativo. Gli andava dietro D’Alema, impegnato nel tessere alleanze: “Mi sembra che le idee di Bossi non siano secessioniste: se la Lega porterà avanti idee secessioniste, non ci sarà accordo con il Pds”.

Nulla di eversivo, nulla di rivoluzionario, nulla di realmente secessionista, fino a quel momento. Si trattava solamente dell’inizio di una lunga campagna elettorale, nel nome del federalismo tradito dal primo governo Berlusconi. L’idea – per certi versi geniale – è quella di costituire un parlamento che sia – in un qualche modo – composto da rappresentanti dei sedicenti padani.

Elezioni! 25 maggio 1997: referendum sull’autodeterminazione della Padania, “Volete Voi che la Padania diventi una Repubblica indipendente e sovrana?”. 26 ottobre 1997: elezione del Parlamento del Nord. Infine, primavera del 1997, in programma un secondo referendum: “La Padania deciderà se sarà Padania sovrana e indipendente oppure Padania sovrana e confederata”.

L’obiettivo era perciò quello di coinvolgere la popolazione del nord Italia, a prescindere dall’appartenenza alla Lega, creare un nucleo di potere legittimato – a suo modo – dal voto e farsi valere a Roma. Un percorso extragiuridico e extracostituzionale, che avrebbe creato di sicuro un gran rumore. Il primo, immediato scontro è sulle cifre e sulla legittimità delle consultazioni: 6 milioni di partecipanti secondo Bobo Maroni – nella veste di ex Ministro della Repubblica Italiana e ora delegato agli Interni padani -, 600mila secondo il Ministero dell’Interno. 22mila gazebi secondo i padani, 6mila secondo il Ministero. Guido Papalia, procuratore di Verona, mette sotto inchiesta (per reati punibili fino all’ergastolo) 44 esponenti del Carroccio.

Ma chi si candidò al Parlamento padano? Abbiamo detto che non era necessario avere la tessera della Lega in tasca, e infatti ritroviamo, tra gli oltre 1000 candidati residenti in Padania (per 200 posti), personalità di ben diversa estrazione, oltre ai rappresentanti delle correnti ideologiche interne alla Lega* (Salvini per i comunisti e Borghezio per l’ultradestra) c’è Nando Dalla Chiesa, ai tempi deputato dell’Ulivo, con la lista “Cittadini del Nord per un’Italia Democratica”.

Dalla Chiesa, unitarista, presentò anche un documento ai presidenti di Camera e Senato in cui sosteneva che un referendum sull’indipendenza del nord fosse l’unico modo serio “per affrontare un problema così importante”. Vito Gnutti, parlamentare e già Ministro della Repubblica, per i liberaldemocratici: “Se sarò eletto nel parlamento padano mi dimetterò da quello italiano”. Pannella e i radicali, che elessero Benedetto Della Vedova, erano presenti a Milano e Treviso: “E’ la nostra testimonianza sul carattere civile ed esemplare di queste elezioni”.

I lavori del Parlamento si concretizzano con l’approvazione di due testi “costituzionali”, ma subito dopo la situazione si incaglia. “La Lega – ci racconta Alessandro Storti, eletto nella lista "Padania liberale e liberataria" e relatore di uno di questi due testi – all’improvviso cambiò impostazione: voleva la titolarità del Parlamento”. “La rottura definitiva – che ha avuto conseguenze fino ai giorni nostri, con la spaccatura tra i movimenti indipendentisti – è arrivata con l’abbandono di Fabrizio Comencini, già segretario della Liga Veneta e amministratore della Regione Veneto”.

I lavori del Parlamento di Chignolo Po terminarono, di fatto, nel luglio del 1998. Comencini, non a caso, fu espulso nell’ottobre dello stesso anno, insieme a 4 parlamentari e 7 consiglieri regionali, e diede vita alla Liga Veneta Repubblica. La Lega ci mette il cappello e manda tutto all’aria. “Seguiranno altre legislature rigorosamente di nominati”. La Lega siede anche a Roma, è un partito nazionale, oramai, e del Parlamento del Nord si dimenticano un po’ tutti. Fino al novembre 2011. Bossi tuona: “Riapriremo il Parlamento del Nord”. E Maroni, per la seconda volta da ex Ministro dell’Interno, gli fa eco: “Dove troviamo i soldi per uscire dalla crisi? Non lo chieda a me, noi siamo all’opposizione”.

Ricostruirsi la verginità, tornare ai bei tempi in cui era bello fare l’opposizione, con una differenza: il Parlamento del nord sarà ancora un’assemblea di “non eletti”, di rappresentanti di se stessi e dell’unico partito che vi siederà. “E’ un tentativo goffo – spiega Storti – di tornare alle origini per rimanere al centro dell’offerta elettoralistica, da un lato riaccendendo delle tensioni molto concrete, dall’altro lato per offrire una sorta di valvola di sfogo agli attriti che si sono creati all’interno della Lega. Penso al congresso varesino, ad esempio”.

Per fare delle nuove consultazioni, per quanto folkloristiche possano risultare, manca il tempo e soprattutto la volontà politica di un partito sempre meno di popolo e sempre più da cabina elettorale, che sfrutta il mitologico territorio per garantirsi spazi a Roma, o per piazzare i figli in regione Lombardia.

* Tra le liste rappresentative delle diverse correnti ideologiche interne alla Lega troviamo: “Democratici europei lavoro padano” (52 eletti tra cui Roberto Maroni, Marco Formentini, l’ex partigiano Giovanni Meo Zilio), “Liberaldemocratici forza Padania” (50 eletti tra cui Roberto Cota, Giancarlo Pagliarini, Vito Gnutti e Corrado Della Torre), “Destra padana” (27 seggi), “Cattolici padani” (20 seggi), “Leoni padani” (14 seggi), “Padania liberale e libertaria” (12 seggi), “Comunisti padani” (5 eletti tra cui Matteo Salvini), “Unione padana agricoltura, ambiente, caccia, pesca” (5 seggi), “Radicali” (1 seggio, occupato da Benedetto Della Vedova). 

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.185) 18 novembre 2011 19:14

    Rigenerazione >

    Per Bossi il Sud è solo “zavorra” e quindi “se l’Italia va giù la Padania viene su”.
    Eppure nel passato triennio per finanziare le “esigenze” del Nord l’ex-governo è ricorso anche ai 2/3 della quota (53 mld) riservata dai Fondi Fas allo sviluppo del Mezzogiorno.
    Per Maroni la Lega è baluardo di democrazia e senza l’opposizione della Lega quello di Roma “diventerebbe un Parlamento come quello di Gheddafi”.
    Eppure non serve l’opposizione per chiamare “Parlamento padano” quello che è il “gran consiglio” Vicentino.
    Nel paese del Barbiere e il Lupo si dicono e si fanno cose davvero singolari …

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