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La strana simbologia sul casco dei poliziotti

Qualche tafferuglio durante il periodo dei regali di Natale è una prassi oramai consolidata. Non fa notizia.

Così a Firenze un minuscolo corteo di un centinaio di persone - ragazzine e immigrati, alcuni anzianotti dai capelli bianchi e facce note da una quarantina d’anni del ribellismo di estrema sinistra, oggi dalle connotazioni più che altro anarcoidi - ha tentato di sfondare il cordone di polizia schierato a difendere il centro dello shopping dalla contaminazione della contestazione.

Nulla di drammatico, naturalmente, ma nemmeno di così imprevedibile dal momento - ce lo ricordano gli ultimi dati diffusi da Bankitalia - che la crisi ha crudamente impoverito i più poveri, ma non il famoso 10% di popolazione superbenestante che nel frattempo ha addirittura incrementato le sue ricchezze. Trend ampiamente sviluppatosi nel corso degli anni berlusconiani che però qualcuno si ostina a non vedere, continuando ad equiparare destra e sinistra in un piattume ideologico poco sensato, ma molto declamato.

E’ tutto da dimostrare che poi abbia senso andare a vociare davanti a qualche negozio sfavillante di specchietti per le allodole e poco più; non è certo da Coin che si concentrano i paperoni nostrani. Ma la politica ribelle oggi è fatta così: forconi con tricolore e braccia tese da una parte e qualche sparuto nostalgico del ’68 sotto le bandiere NoTav dall’altra.

Poca roba, poco significativa, poca prospettiva, zero strategia politica. Almeno a sinistra; a destra qualche burattinaio a tirare i fili si intravede.

Distrattamente uno poi guarda le foto e lo colpisce un particolare curioso: sul casco azzurro di un poliziotto spicca, comicamente fuori posto, l’adesivo di una faccina gialla tipo smiley.

Non si tratta dello zainetto di uno studentello delle medie o del diario personalizzato a fiorellini di una fanciullina. E' la divisa di un agente in servizio. Quindi non dovrebbe esserci; però c’è. Quello che invece continua a non esserci - cambiano i governi, cambiano i ministri, ma la storia rimane sempre uguale - è il codice identificativo degli agenti in servizio di ordine pubblico. Cioè quel numeretto che dovrebbe permettere l’identificazione, in caso di necessità, dell’agente o del militare cui fosse necessario dare un nome e un volto.

C’è ormai quasi ovunque nel mondo occidentale, anche in paesi che certo non sono famosi per la democraticità delle loro istituzioni. Ne avevo già parlato mesi fa e molti ne avevano già sottolineato l’urgenza e la necessità soprattutto dopo l'ignominia dei clamorosi fatti di genova 2001.

Ma il tempo passa e l’anonimato (capace di garantire l’eventuale impunità di azioni illecite) resta. Mentre la faccina sorridente appiccicata al casco sembra ridere; alla faccia nostra.

Naturalmente non siamo così ingenui da non pensare che l'adesivo possa avere un significato recondito che gli agenti sono in grado di riconoscere (come le tre strisce nere verticali sul casco di un altro poliziotto), ma la democrazia non dovrebbe esprimersi per segnali criptati che rimandano ad un alfabeto riservato a pochi intimi.

Dovrebbe percorre la strada della trasparenza, che non significa gettare la privacy di un agente in pasto alla folla inferocita, ma, banalmente, permettere alla magistratura di fare il suo lavoro di indagine - quando fosse necessario - con rapidità ed efficienza. Senza dover aspettare che scadano i termini di prescrizione prima di arrivare a sapere almeno il nome di chi dovrebbe essere sottoposto ad un eventuale giudizio.

Dare un numero a una divisa per poter dare un nome a quel numero in caso di necessità (magari anche per dargli una medaglia). Una piccola norma democratica da inserire nel programma democratico, per quanto ondivago, del governo prossimo venturo. Per adeguarsi agli altri paesi democratici, almeno.

Sempreché questa sia la nostra prospettiva.

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.243) 23 dicembre 2013 22:18

    Non ci avevo mai pensato prima, ma...

    Mi sembra che le ns leggi proibiscano ai cittadini di circolare a volto coperto, proprio in rispetto del principio che ciascuno deve essere riconoscibile e identificabile.
    Analogamente, i cittadini hanno il diritto di liberamente associarsi, ma le associazioni segrete sono vietate.
    In altre parole, in Italia, il Ku Klux Klan è fuori legge ancor prima che i suoi facciano qualcosa di illegale, in quanto l’incappucciamento caratterizza una associazione come segreta.

    Mi sembra che in Italia la polizia abbia adottato il casco senza "chiedere il permesso" a nessuno, in quanto sarebbe un -giustificabile- strumento protettivo.
    Il punto è che il casco è anche una mascheratura del poliziotto e non mi risulta che mai la polizia sia stata autorizzata a mascherarsi: se davvero il casco fosse soltanto una protezione, allora sarebbe automatico il fatto che deve essere salvaguardata la riconoscibilità mediante un codice.
    Non è così, e allora gli agenti in servizio di ordine pubblico sono paragonabili al Ku Klux Klan: non ci mettono la faccia, non si assumono le loro responsabilità.

    GeriSteve

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.161) 23 dicembre 2013 22:56
      Fabio Della Pergola

      Questa, Geri, sempreché il tuo sia un discorso serio, mi sembra una vera forzatura. Anche picchiare qualcuno è vietato, ma alla polizia è concesso (nei limiti previsti dalla legge). Perché lo stato ha il diritto esclusivo di usare la forza in nome del bene pubblico e per la salvaguardia delle istituzioni. Sempre nei limiti di legge, ovviamente. Non direi quindi che il casco sia equiparabile a niente altro che a una protezione legittima della salvaguardia fisica dei funzionari e addetti alla gestione del servizio pubblico. Altra cosa è contrassegnare la divisa in modo che non ci siano equivoci nei casi dubbi o illeciti in cui deve intervenire un magistrato. La cosa non è possibile quasi solo in Italia e non è concepibile che sia così. Buon anno!

      FDP

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