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La storia di Peppino Impastato a teatro

A quasi 34 anni dalla morte di Peppino Impastato e a 12 anni da "I cento passi" di Giordana, debutta il 15 febbraio a Roma al Teatro Golden "Dietro i tuoi passi", spettacolo messo in scena da ragazzi siciliani che danno voce ad una storia che non deve essere dimenticata.

Era il 9 maggio del 1978 quando Aldo Moro fu trovato morto in via Caetani a Roma, nel bagagliaio di una Renault. I giornali, le tv non parlarono d'altro. Ma lo stesso giorno, in un paesino della provincia di Palermo, si spegneva un ragazzo di 30 anni. Sulla carta stampata poche righe per annunciare una morte annunciata. Ci sono voluti anni e la forza della madre, del fratello, degli amici per portare alla luce la verità: ad uccidere Peppino Impastato quella mafia che lui aveva sempre combattuto, quella Mafiopoli che lo aveva visto nascere, la famiglia nella quale era cresciuto e quel Tano Seduto, alias Gaetano Badalamenti, che Peppino denunciava, con le parole, in radio e in piazza e, con i fatti, nelle sue scelte quotidiane: perché ogni giorno della sua vita Peppino Impastato scelse di dire no alla mafia, nonostante i pochi passi, 100, che separavano la sua casa da quella del boss Tano.

A 12 anni dal film che ha fatto conoscere la sua storia, "I cento passi" di Marco Tullio Giordana, il 15 febbraio a Roma, al Teatro Golden, debutta lo spettacolo teatrale "Dietro i tuoi passi", da una idea di attori siciliani che hanno deciso di raccontare il loro Peppino, quel ragazzo "nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo, nei cui occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di Giustizia che lo portò a lottare... Quel ragazzo che poteva come tanti scegliere e partire e che invece decise di restare".

Come è nata l'idea?

"Il merito va tutto ai ragazzi che sono gli autori dello spettacolo - spiega il regista Massimo Natale -, che hanno voluto, da siciliani, fare un omaggio a questa figura che è molto rappresentativa e importante nella storia dell'isola e nella storia italiana. Lo spettacolo è nato prima come saggio di diploma della scuola di recitazione di Beatrice Bracco, dove i ragazzi hanno studiato, poi ha preso corpo come spettacolo vero e proprio".

Come vi siete avvicinati alla storia?

"Per scrivere questo spettacolo si è attinto a fonti dirette. Si è parlato molto con la mamma Felicia (scomparsa nel 2004 - NdR), con il fratello Giovanni e con gli amici. E' uno spettacolo dal quale viene fuori Peppino, i suoi scritti, le sue parole. Non c'è nessuna parte romanzata. Abbiamo anche un testo originale della sua trasmissione di Radio Aut".

Rispetto al film come vi siete posti?

"La storia ovviamente è quella, ma abbiamo fatto una tabula rasa, non siamo partiti dal film, ma abbiamo ricostruito passo passo le vicende. Ovviamente molte cose sono simili, visto che la vita di Peppino è stata quella, a partire dai 100 passi".

A supporto del film c'erano i Modena City Ramblers: voi che musica avete scelto?

"Abbiamo chiesto delle musiche originali al Maestro Colavalle, un musicista eccezionale che ha studiato con Trovajoli. Si tratta di una nuova ispirazione, proprio per non percorrere strade già percorse".

Da regista come si è avvicinato ad un tema così importante, pur non essendo la sua prima volta a contatto con argomenti così impegnativi?

"Essendo anche io di origini siciliane, è un tema che mi sta particolarmente a cuore. Il testo è molto emozionante e mi ha aiutato anche nella messa in scena. La storia, oltre a raccontare una vicenda di mafia, è anche una storia di incomunicabilità. E' una storia di ostacoli che Peppino incontra prima di tutto nella sua famiglia e poi nei rapporti con la gente, con i paesani. E' per questo che il palco lo abbiamo voluto pieno di ostacoli, di barriere, di impedimenti. Perché Peppino si è dovuto muovere nella vita tra ostacoli spesso invisibili, ma non per questo meno efficaci. Ostacoli che lo hanno pian piano isolato. Perché Peppino è stato lasciato solo. Da tutti. Si è battuto con gli amici, ma la "società civile" gli ha voltato le spalle o ha fatto finta di non vedere e non sentire. E si sa... la mafia uccide quando vieni lasciato solo".

Altro punto di forza: la passione.

"La passione, la voglia e la bravura degli interpreti: 5 attori che hanno nel cuore la passione, l’orgoglio e la forza di essere “figli del sud”, un elemento che scorre nelle loro vene e restituisce forza, ardore e passione ai loro personaggi. Vederli emozionati fin dalle prove, con gli occhi lucidi, è qualcosa che non si può dimenticare. E che arriva in sala, in platea, nel cuore. È un’occasione questo spettacolo. Un’occasione da non perdere. Perché la fiaccola accesa dal sacrificio di tanti nostri concittadini come Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, Rosario Livatino, Carlo Albero Dalla Chiesa e tanti, troppi, altri, non si spenga mai”.

Dal punto di vista istituzionale quali supporti avete avuto?

"Siamo andati in scena una prima volta l'estate scorsa in Sicilia dove abbiamo riscontrato una buona accoglienza. Per il resto devo dire che si tratta di uno spettacolo privato, supportato da privati che non ha né appoggi istituzionali né finanziamenti. Speriamo di poterlo far girare anche nelle scuole, dalle quali ci stanno arrivando delle richieste".

Quanto è importante, soprattutto in questo momento storico, far arrivare questi messaggi?

"Credo che sia importante far arrivare sprattutto ai giovani questo messaggio. Sono importanti gli spettacoli di memoria che facciano ricordare, che portino in scena esperienze di vita, le storie di persone che hanno, con la loro esistenza, portato avanti un messaggio importante. In questo periodo della nostra storia in cui si vive sugli sms, in cui il passato sembra non esistere più, credo che siano importanti i ricordi. I famosi corsi e ricorsi storici di Croce... se si dimentica il passato, si rischia di commette gli stessi errori. Come diceva Falcone "La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine": non dobbiamo mai abbassare la guardia. Questa battaglia non l'abbiamo ancora vinta... La mafia ha molte forme: ha la forma della camorra, della 'ndrangheta, della p4, p6, p8 o come la vogliamo chiamare. La criminalità non è sconfitta ancora e noi dobbiamo continuare a lottare!". 

Pepino Impastato: "Suicidio eclatante"

Assassinato il 9 maggio 1978, qualche giorno prima delle elezioni alle quali si era candidato e qualche giorno dopo l'esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo è dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani. Le indagini sono, in un primo tempo orientate sull'ipotesi di un attentato terroristico consumato dallo stesso Impastato, o, in subordine, di un suicidio "eclatante".

Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei “corleonesi”. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta.

Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia alla udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell’udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.

Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini.
Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo. Badalamenti e Palazzolo sono successivamente deceduti.

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