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La sfida che il PD deve saper affrontare

A detta di tutti un grande successo ma forse qualcosa non ha funzionato se, ancora a mezzogiorno del giorno dopo le primarie, non si avevano i risultati definitivi. Arriveranno e forse ci saranno piccole differenze percentuali tra i dati diffusi dai bersaniani e quelli dai renziani ma, in attesa del ballottaggio di domenica prossima, il Partito Democratico deve avere il coraggio di affrontare una grande discussione al suo interno.

Non si è neanche dovuto attendere la chiusura dei seggi per capire che aria tira in casa PD e, dal poco che è trapelato, è chiaro che non è buona. A partire dalla Camusso, che a elezioni ancora in corso s'è lasciata andare a esternazioni contro Renzi con il chiaro scopo di influenzare gli ultimi indecisi quando era già palese che il segretario Bersani avrebbe dovuto andare a ballottaggio con il sindaco di Firenze, il quale ha dovuto fare più di due ore di fila per votare. Proseguendo con il poco edificante spettacolo dato ieri sera durante lo speciale del TG3, condotto da Bianca Berlinguer, in cui una livida Rosy Bindi aveva l'aria di dire che avendo chiaramente vinto Bersani (e poco dopo la mezzanotte erano stati scrutinati poco meno della metà dei seggi), Renzi, con il suo 35% (o giù di lì) dei voti raccolti tra gli elettori del centrosinistra, poteva tornare a occuparsi della sua Firenze.

Dimostrazione di come la vecchia classe dirigente del partito, erede del PC, come la Bindi ieri ci teneva a sottolineare alla figlia di uno degli storici dirigenti del partito, si ostina a restare ancorata a se stessa, a non cogliere la richiesta di cambiamento che viene dal suo interno. La pervicacia con cui la Bindi, e altri grandi nomi del partito, tentano di ridurre i voti dei renziani a voti esterni al PD, sostenendo che quei voti tentano di scardinare il partito dall'interno e che siano quasi voti di serie B. Nonostante i votanti abbiamo firmato tutti la carta degli intenti del centrosinistra, rasenta il ridicolo e mortifica quanti hanno partecipato con il chiaro scopo di indicare una direzione alternativa al vecchio dirigismo di stampo comunista e, guardando ai parterre dei due sfidanti, è chiaro che questa viene in particolari dai giovani trentenni e quarantenni che, essendosi affacciati al mondo degli adulti e della politica dopo tangentopoli, sono quelli che più sentono stretti i lacci del vecchio dirigismo, delle vecchie logiche gerarchiche e che chiedono un cambio di prospettiva.

Il PD in generale, e i bersaniani in particolare, avrebbero dovuto cogliere questo messaggio nel risultato di Nichi Vendola. Da qui a domenica prossima il Partito Democratico dovrà fare un lungo esame di coscienza e decidere se sacrificare sull'altare della continuità con la vecchia classe dirigente, erede dell'impostazione del PC, la richiesta di rinnovamento che giunge da buona parte del suo elettorato, o di riconoscerle, come la percentuale di voti raccolti da Renzi richiederebbe, un ruolo principale nella sfida per le prossime politiche. Nel primo caso, si rischia di sprecare il riscatto della politica ottenuto con queste primarie e di regalare la base più giovane degli elettori al nutrito gruppo degli astensionisti o dei grillini.

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