La segregazione di genere islamicamente corretta nelle università inglesi
Torna la divisione tra donne e uomini all’università nella civilissima Gran Bretagna. Torna, stavolta, per non urtare la sensibilità di alcuni gruppi musulmani attivi negli atenei, in un paese sempre più secolarizzato, ma dove le minoranze religiose si fanno sempre più rumorose. Già lo scorso marzo erano iniziate le polemiche, con un incontro presso lo University College di Londra organizzato da islamici, alla presenza tra gli altri del fisico ateo Lawrence Krauss, in cui erano state imposte file diverse per genere tra il pubblico.
Ora si assiste al salto di qualità. Universities UK, organizzazione portavoce degli atenei inglesi, ha pubblicato un documento in cui viene di fatto sdoganata la separazione tra i sessi durante dibattiti, a particolari condizioni e quando si affrontano temi sensibili. Con un salto mortale così imbarazzante da sembrare orwelliano, le università non ritengono che separare sia discriminatorio, perché “sia uomini che donne sono trattati equamente, in quanto vengono entrambi segregati allo stesso modo”. Inoltre si afferma che le “preoccupazioni” di coloro che si oppongono alla segregazione “non dovrebbe avere come risultato quello di impedire a un gruppo religioso di avere un dibattito in accordo con il proprio sistema di credenze”.
Un approccio accomodante che vuole evitare grane legali o accuse di razzismo agli atenei, ma che fa paradossalmente passare l’esigenza di equità come una violazione della libertà religiosa e della libertà di espressione. Non sono mancate critiche anche da Student Rights, associazione che rappresenta gli studenti e combatte proprio le discriminazioni. Nella sua indagine fa notare come in un anno circa un quarto degli incontri presso le università abbia coinvolto predicatori radicali, i quali hanno di fatto imposto l’abitudine di dividere maschi e femmine.
La direttrice di Inspire Sarah Khan, attiva nella difesa dei diritti delle donne contro l’estremismo, fa notare che segregare non porta affatto alla parità, ma a una “ineguale distribuzione del potere”. Rory Fenton, della Rationalist Association, evidenzia la montante prepotenza di certi gruppi religiosi nei campus (come insegna il caso dei giovani cacciati dalla fiera studentesca per aver indossato magliette con le vignette di Jesus and Mo). Propri questo atteggiamento passivo delle università e di alcune associazioni studentesche non fa altro che incentivare la baldanza integralista. Sul Guardian Polly Toynbee ricorda che è anche la neutralità laica che permette alti standard di istruzione, diritti e l’uguaglianza tra i sessi. Ma aggiunge che in questi anni, con il proliferare delle faith schools, si stanno riproponendo discriminazioni che sembravano ormai archiviate.
Una cappa di integralismo si stende sulle università britanniche. E a farne le spese sono ancora le donne. Non si può far finta di ignorare che, se anche scegliessero “liberamente” di essere segregate, lo farebbero perché si tratta di una scelta obbligata, altrimenti subirebbero lo stigma maschilista e paternalistico. Se non si dovessero adeguare, se non prendessero ordinatamente posto nel gineceo come se fossero in moschea, osando confondersi con i maschi, il loro atteggiamento sarebbe considerato offensivo e provocatorio. Un andazzo del genere avrebbe destato immediata indignazione se fosse stato giustificato sulla base della “razza”, ad esempio separando i neri dai bianchi come avveniva fino a qualche decennio fa negli Stati Uniti o in Sudafrica.
Sarebbe interessante conoscere su quale valida ragione sia basata la decisione. Non lo è di certo il desiderio di compiacere l’integralismo religioso e il tradizionalismo ottuso, che con la scusa di proteggerle pongono le donne in una condizione di subalternità. Il tutto all’insegna del politically correct portato all’estremo e del riconoscimento di (qualunque) libertà religiosa che è diventato abitudine tra i britannici, specie nei confronti dell’islam. L’ennesimo frutto malato del multiculturalismo, che finisce per svuotare dall’interno i principi di libertà e parità che dovrebbero essere salvaguardati anche e soprattutto nelle scuole e nelle università.
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