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La “rivoluzione” dei vignettisti siriani

(di Omar al Shaykh, per al Araby al jadid. Traduzione dall’arabo di Claudia Avolio).
A metà del 2007 la vignetta “l’elettore siriano” del disegnatore Alaa Rostom ha portato alla rovina del capo-redattore del quotidiano Baladna, il giornalista George Hajuj. All’epoca la pubblicazione era venuta a coincidere con la campagna elettorale per “rinnovare la fedeltà” verso Bashar al Asad.

Il disegno si prendeva gioco del parlamento siriano e i deputati vi comparivano con le mani sospese a corde legate in alto a una carrucola manovrata da una persona sola. I votanti quindi apparivano come delle marionette mosse dal leader perché votassero come voleva lui.

Oggi, dopo cinque anni di rivoluzione, l’audacia delle vignette siriane è passata da un imbarazzato monitoraggio delle tribolazioni della vita a un grido che trae il proprio fuoco dalla cronaca della guerra e distruzione quotidiane.

Per quarant’anni l’autorità siriana ha trasmesso un terrore assoluto sulla stampa, ma ciò non ha impedito al vignettista siro-palestinese Hani Abbas di portare il dolore della strada nei suoi disegni dopo aver dovuto abbandonare la zona di Babbila nella periferia di Damasco. Hani Abbas veniva ogni giorno a contatto con le manifestazioni, assistendo a suo modo allo sfaldarsi della paura nei confronti dell’ironia.

Dice oggi: “Prima i messaggi convogliati dalle vignette siriane erano formulati in modo generico, il disegnatore non identificava con esattezza certe persone: che fossero i volti delle autorità o dei funzionari, era difficile che avvenisse. Questo ha portato il disegnatore a tirare fuori la sua idea in modo generico, raffigurando persone senza tratti caratteristici. E così poteva ridere perfino la persona ritratta, credendo si trattasse di qualcun altro!”. Oggi invece il vignettista si ritrova faccia a faccia con eventi da cui non può fuggire e che non può eludere: deve perciò prendere una posizione. “Così è iniziato un cambiamento di rotta importante nell’arte delle vignette siriane da parte dei disegnatori che si trovano all’interno del Paese. È stato come un parto cesareo difficile per tirare fuori la voce in modo chiaro”, dice Hani Abbas.

Concorda il vignettista Yasser Ahmad sulla descrizione della condizione della strada e l’integrazione degli eventi con l’idea del disegno e conferma che la specificità del suo lavoro gli ha “richiesto di sondare la sofferenza della strada per stare dalla parte degli oppressi, di fronte a un regime tiranno e sconsiderato che non ha esitato a mostrare la sua crudeltà e la sua violenza e che da tempo ha reso la superficialità intellettuale un modello applicato a diversi aspetti della vita, di cui l’arte è forse il più importante”. Secondo Yasser Ahmad la rivoluzione “ha liberato l’arte che era asservita a questo regime, cosa che emerge chiaramente dai disegni della maggior parte degli artisti che hanno intrapreso questo cammino”. Al contrario, qualcun altro è rimasto dall’altra parte della barricata e ridicolizza la propria arte mettendola al servizio dell’autorità, nonostante “avesse rivendicato la propria appartenenza alla strada prima che questa si rivoltasse”.

“La pressione provoca l’esplosione”, dice il vignettista Juan Zero, anche se questo cambiamento arriva in ritardo. Nei suoi disegni dice di affidarsi alla “riproposizione della realtà per correggere un errore o esprimere un’opinione su una cosa accaduta”. E poi aggiunge che “si riesce a raggiungere le persone stando in mezzo a loro, e non semplicemente provando compassione per loro”.

Hani Abbas racconta di aver “publicato sui social media come alternativa ai giornali ufficiali o privati che erano legati in modo organico al regime e hanno aderito alla sua narrativa bugiarda su quanto stava accadendo sul terreno”. Secondo lui, il vignettista siriano è messo alla prova dal test più importante: essere vero e onesto con se stesso e con la gente, oppure seguire fedelmente i dettami dell’autorità per ragioni legate al tornaconto o alla scarsa consapevolezza. Crede che nelle vignette siriane ci sia un nuovo risvolto: il messaggio non è più generale, ma recapitato esattamente al destinatario di turno: “Per quanto mi riguarda, prima non mi concentravo su un discorso preciso da adottare nella stessa misura in cui esprimevo ciò che succedeva e non tentavo di convogliare in modo autentico una rappresentazione della realtà e costruire un nuovo clima fatto di libertà, giustizia e dignità umana”.

La maggior parte delle proposte dei vignettisti siriani ha restituito alla satira politica e sociale la sua veemenza e la capacità di stemperare le tensioni, o a volte di portarle a esplodere, dal momento che la strada – secondo Yasser Ahmad – all’inizio era espressione di una rappresentazione indiretta della tribolazione del cittadino con le difficoltà del suo quotidiano. Ora, invece, si è trasformata, compiendo “un nuovo salto rispetto alle tematiche, col coraggio di parlare delle sofferenze del popolo rivoluzionario dopo che il margine della libertà si è esteso a discapito dell’autocensura”.

La scena internazionale ha mescolato il dolore della gente con la politica e la distribuzione di quote con la scusa della pace e della tregua. Fino a che punto allora il lavoro dei vignettisti può essere neutrale, soprattutto dopo il rimescolamento delle carte nel conflitto siriano? L’essere umano è la bussola per i vignettisti siriani a cui poniamo la domanda.

Hani Abbas risponde: “Sì, ora la questione si è fatta più complicata, ma continuo a guardare all’immagine nella sua semplicità e nel suo lessico originale”. E aggiunge: “Non mi interessano le ingerenze politiche quanto l’essere umano e tutti i tipi di oppressione a cui è esposto di questi tempi. Chi disegna per un regime o un’altra autorità vedrà queste cose finire prima o poi. Ma chi lavora e disegna per l’essere umano sa che è l’uomo che resta fino alla fine del mondo”.

“Non c’è neutralità nelle vignette”, dice Juan Zero, “Si adottano inevitabilmente alcuni principi e per quanto mi riguarda la base fondamentale è il siriano”.
Secondo Yasser Ahmad, “la posizione neutrale dell’artista, soprattutto nella situazione siriana, significa scindere l’arte dal suo messaggio, perché non possiamo mettere sullo stesso piano il carnefice e la vittima in termini di copertura artistica. Essere neutrale sarebbe come se un pastore guardasse e documentasse il lupo che sbrana la sua preda!”.

Temete che possa toccare anche a voi la sorte dei vostri colleghi disegnatori siriani che sono stati uccisi o torturati a causa dei loro disegni? Una domanda audace da porre che porta con sé il rimbombo dell’effetto lasciato oggi dai segni della guerra nella memoria della gente.

“La cosa più difficile è perdere gli amici e la nostra perdita è stata davvero enorme”, dice Hani Abbas. Molte persone sono morte sotto tortura nei luoghi di detenzione del regime: erano disegnatori, artisti, intellettuali e gente che rivendicava la libertà: “Abbiamo un messaggio in più che portiamo a nome loro e continuiamo a levare noi il loro grido”. Nonostante ciò, Hani Abbas afferma: “Non ho deciso di iniziare a disegnare, perciò non so se deciderò di smettere di farlo. La vita scorre in modo folle al momento, non c’è posto per le congetture”.

E invece Yasser Ahmad è preoccupato per la sorte toccata ai suoi colleghi uccisi e torturati. Tra loro c’è chi ha perso la vita “per far arrivare un messaggio”, alludendo al disegnatore Akram Raslan che “li ha spaventati con l’audacia dei suoi disegni e così hanno tentato di farlo tacere e l’hanno ucciso. Ma lui si è trasformato in un mito e i miti non muoiono”.

Da parte sua, Juan Zero mette da parte la paura e “tutti i suoi sinonimi che sono ai margini rispetto alla profondità dell’idea di una vignetta che difende un oppresso”.

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