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La prostituzione dello Stato

L’impressione che trapela dalle intercettazioni della Procura di Milano è quella di un bambino colto con le mani nel vasetto della marmellata. B. è alle strette, il nervosismo traspare, la preoccupazione anche, si sente attaccato, dice a Ruby: “Fai la pazza, ti do quanti soldi vuoi, ti metto in oro ma non parlare”. Un lupo braccato.

Il caso Ruby spopola sulla stampa straniera. Ne parlano tutti, dal Financial Times all’Economist, da Le Monde a El Paìs. Ma in Italia, dove nulla è più sfuggente dell’ovvio, coloro che dovrebbero intervenire a salvaguardia dell’ordine etico si sono eclissati. La Chiesa tace, il Quirinale dorme.

Il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che non manca mai di auspicare “riforme condivise”, di lanciare i suoi appelli ai giovani, agli operai, al governo, all’Europa, alla Cina, alla Lega, stavolta sembra che non abbia il fiato per lanciare ulteriori appelli. Non si espone mentre l’Italia è sì esposta al pubblico ludibrio del mondo. Dormiente, tra le sue pareti garantiste, non parla, quasi vivesse in un altro paese. Al massimo si dice “turbato”. Auspica che si faccia chiarezza nelle sedi giudiziarie, ma nulla sul fatto che i corifei berlusconiani continuano, giorno dopo giorno, a delegittimare e a oltraggiare la magistratura. E non sembra essere rilevante se lui, della magistratura, è il capo. Da Presidente del Csm non si sente minimamente attaccato. O se è il Capo dello Stato, dell’Italia governata da un becero ciarlatano che è andato oltre ogni norma morale e giuridica, che insulta quella Costituzione di cui lui, Napolitano, è invece il primo custode.

Ma nel bordello istituzionale non potevano mancare i silenzi e le mezze frasi della Chiesa, a ricordarci che se c’è un limite al peggio, i cattolici sono sempre i primi a oltrepassarlo. La Chiesa, è bene ricordarlo, non si è risparmiata nulla nel suo attacco a Mediaset sulla vicenda delle bestemmie pronunciate al Grande Fratello, e alla fine l’ha pure spuntata. Non è un problema se poi Mons. Fisichella a taluni riserva la possibilità di contestualizzare un peccato, o se il Papa durante l’Angelus afferma che l’omosessualità non è mai moralmente giusta, o ancora se Mons. Bertoldo dice che se le donne vengono violentate hanno la loro parte di responsabilità. La Chiesa si considera ancora il cardine dei valori morali italiani, a patto che siano lautamente ricompensati con l’otto per mille, con l’aumento delle ore scolastiche di religione, o con l’esenzione dall’Ici dei beni ecclesiastici.

L’Osservatore Romano non osserva. Avvenire invece sembra aver perso la verve e la carica polemica, espressa dal direttore Marco Tarquinio sulle vicende di blasfemia al Grande Fratello. Adesso si dice “ferito e sconvolto”. D’altro canto, su vicende dai risvolti sessuali riguardanti minori, da che pulpito verrebbe la predica.

Ma il fatto che la Chiesa eviti scontri con la classe politica è indice dello sfascio a cui è inevitabilmente condannata. La Santa Sede sa di perdere col passar del tempo quel ruolo che nella Prima Repubblica gli era sempre stato riconosciuto, almeno fino agli anni ’70. La sua dipendenza dalla classe politica è l’ultimo appiglio che le resta per rimanere ancorati nella nostra società. Ma l’appiglio sta cominciando a cedere.

Nella fiera della lussuria istituzionale, il caso Ruby merita il giusto risalto. Non è semplicemente la vicenda di un vecchio settuagenario, arrapato di vergini ragazze che volentieri si offrono al capo tribù per perpetrare il rito sodomita del bunga bunga. È il segnale evidente di quanto la prostituzione non tanto fisica, ma soprattutto morale, la prostituzione delle Istituzioni, sia un costume fin troppo diffuso. Non è retorico rilevare la deriva a cui sembra condannata l’Italia, soprattutto perché abbiamo dimostrato, e la Storia ci è testimone, di non riuscire ad asportare le invasive metastasi che albergano nelle istituzioni. Ma si rischia, e la Medicina ci insegna, che a rimandar troppo la cura, si vada poi incontro alla cancrena. E all’amputazione.

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