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La poesia uccide?

 

“Oggi sono un ospite celeste
nel tuo paese.
Io ho visto l’insonnia dei boschi
e il sonno dei campi.”
(M.I. Cvetaeva)

Senz’altro no. Dai suoi versi emana, tuttavia e in generale, l’accentuata sensibilità del poeta alla tristezza e al dolore della quotidianità che attraversa la sua vita. Shelley scriveva “Un poeta è un usignolo, che canta standosene al buio, ad alleviare con dolci melodie la sua solitudine”. Le radici alla base della sofferenza depressiva che portano a togliersi a vita. Ma non solo per il poeta, son delle cause comuni a tutti gli uomini. La lista dei poeti-scrittori suicidi è folta, ma dà una falsa idea statistica. Per i salumieri e i commercianti di tappeti nessuno tiene e aggiorna una lista di morti per suicidio.

Le biografie, poi, portano a volte per lungo tempo dei falsi dati su percorsi di vita ed incapacità di reggere le angustie e la sofferenza dell’anima da parte di scrittori e poeti. Per le loro opere bisognerebbe sempre astrarre dalle loro biografie, a volte -spesso, con il pesante condizionamento di influenze di ordine morale.
Esempio ne è Jean-Jacques Rousseau, condannato a un pesante giudizio morale per aver abbandonato i suoi cinque figli in brefotrofio ma che ha ci ha dato il suo ‘Emilio’, ancor oggi d’imprescindibile direttiva per la pedagogia infantile.
L’opera d’arte si deve porre di là del giudizio della morale. E comunque lo scavare nella vita dell’autore è sempre deleterio e distruttivo.

Galilei a coloro che cercavano in tutti i modi di arrivare alle cause biologiche dell'arte di Michelangelo, diceva: “Ahimè, così notomizzandolo mi uccidete l'arte e l'artista'”.
Ugualmente De Sanctis a proposito di quei critici (?) di Leopardi, che volevano risalire all’identità di Nerina (figlia di un cocchiere o di un cappellaio?) e confinare la sua figura in una concreta immagine di persona fisica, "ahimè, mi avete ucciso Nerina".
Ebbene, nel caso di Marina Ivanovna Cvetaeva dobbiamo dimenticarci completamente di tutto ciò.
La comprensione di questa poeta vive nella tensione drammatica fra due poli antinomici, la sete di spiritualità e la materialità del corpo imprigionato nell’esistenza in vita.
L’Ansia parossistica del superamento del sensibile, di percepire oltre i sensi, lo spirito nella materia, moventesi prigioniero in un tempo indegno. L’essenza della sua persona è in questo continuo dicotomico frangersi e rinfrangersi fra il corpo e i suoi limiti, nella ricerca, consapevole, di un’illusione prodromica di quel ’paese’ “- Dio”, con cui “la Russia confina" (Rilke). O, perlomeno, carpirne il ritmo e la melodia, cosa cui solo l’artista può tendere, poiché “Il poeta è, innanzitutto, qualcuno che è uscito dai confini dell’anima”.*
Allora, ecco, superato il primo giudizio morale, per i suoi amori, gli amanti portati –forse, dice la maldicenza- anche nella casa coniugale, si scopre che l’estrema sofferenza di Marina, questa sua ansia per l’amore che non riesce mai a perfezionarsi, ad approdare nella completa felicità dell’esistenza, congiunto alle continue circostanze avverse della sua vita, mitigano e danno, anzi, anche una luce diversa alla sua persona,
“Ogni strada che finisce in una stanza è falsa, ed è l’unica in cui non lascio mai correre le mie gambe”. **
E la parola, attraverso la poesia, diventa anche, maggiormente, il mattone, la pietra vivente, per la costruzione di qualcosa di infinitamente più elevato della carta e della penna. “La parola: il cielo più basso - più vicino - della terra”. * Uno spasimo onirico irrompente nella bruta realtà di tutti i giorni.
Lo scritto, la poesia, a ben vedere, si pone oltre la meschinità del tempo, lo supera sul suo stesso terreno, dissolvendo la sua polvere di oblio sulle cose, sulle persone, sull’amore.
La poesia è Dio nei sogni sacri della terra”. *

Nel suo saggio ‘Il poeta e il tempo’, Marina dice che il poeta scrive nel proprio tempo, del proprio tempo e addirittura del passato più remoto (Hölderlin) ma non per il proprio tempo. È una scrittura potenzialmente protesa verso il futuro, che la attualizzerà o no in contemporaneità del lettore di poi.
E il lettore futuro sarà sempre il figlio di quello attuale, incapace di cogliere il presente e con lo sguardo sempre retrodatato. Similmente sarà per lui, figlio lettore futuro.
E il genio è il non-tempo della poesia. Egli è sempre in anticipo anche quando poeta il passato di secoli (Hölderlin, in ritardo di XVIII secoli che, scriveva Marina, "in Germania comincia ad essere letto solo adesso”).
L’arte “…non può mai arrivare in ritardo, che l’arte, di qualunque cosa si nutra e qualunque cosa cerchi di resuscitare, è di per sé stessa avanzamento”…
I versi sono i nostri figli. I nostri figli sono più grandi di noi perché vivono di più, più a lungo…
Più vecchi di noi, vengono dal futuro. È per questo che a volte ci sono estranei…
Noi tutti siamo i lupi dell’impenetrabile bosco dell’Eterno...
Contendere al tempo ciò che in esso è eterno o rendere eterno ciò che in esso è temporaneo.”. *

Altra idea approssimativa: nel saggio “Un poeta a proposito della critica”, Marina, può sembrare altera e boriosa quando sale in cattedra respingendo l’attacco recensivo di qualche critico della sua opera, quando sostiene che il calzolaio, il filisteo non hanno né la capacità né il diritto di “definire brutto e inutile il mio lavoro” (tuttavia con delle circostanziate motivazioni logiche).
Anche qui solo giudizi di superficie. Leggendo oltre, Lei dice che “per avere un parere su una cosa bisogna viverci, in quella cosa ed amarla” *. 
È il giudizio dell’incompetente che non accetta. Diversamente quello soggettivo ‘per me’, a me piace’ è lecito per chiunque, dal calzolaio al grande avvocato.
E, proseguendo, afferma che Lei dà ascolto a chiunque parli con la voce dell’esperienza di vita, dal vecchio rabbino, che forse non ha mai letto dei versi ma che “…ama (sa) tutto – tutto ciò da dove viene la poesia…reso saggio dal sangue, dall’età” *, e così dal bambino, dal popolo, perché ognuno ha il suo bagaglio di vita e d’informazioni, che son necessarie al poeta perché “in tutto ciò che non è anima io ho bisogno degli altri”. *
Una donna, una poeta con la testa fra le nuvole? ma no!
Una persona che ha vissuto sempre nell’indigenza per le cose vitali di tutti i giorni, sempre in randagìa di traslochi; scrive Serena Vitali (la sensibile e profonda traduttrice di Marina, nella sua prefazione alle “Notti fiorentine”) ”l’incubo della pigione da pagare, di almeno un pasto giornaliero, da inventare, la sporcizia (il carbone) e il gelo (la mancanza di carbone che invadono la casa) ”.
E l’ostilità sempre più pesante. Nessuno le accetterà più le poesie. Dovrà arrangiarsi con le traduzioni e saggi e scrivere solo in prosa.
Per la poesia aveva ‘detto’:“Per chi scrivo…a chi la venderò?…scrivere per il denaro è una bassezza, per la gloria -eroismo...
I soldi sono la mia possibilità di continuare a scrivere. I soldi sono le mie poesie di domani…la mia libertà e il mio tavolo di lavoro…la mia possibilità di scrivere meno. Non tre pagine al giorno, ma trenta righe (Della facilità dei miei versi parlano le mie minute)…Sporco nella vita, puro nel quaderno…”. *
E invece peggio; la miseria, il fisico indebolito e provato dagli stenti, l’orgoglio di donna offeso dallo sfiorimento dalle privazioni e dall’età che avanza, dai pochi e dismessi abiti.
Il giusto senso di orgoglio e l’irrinunciabilità, sempre e comunque, della propria dignità, hanno avuto nella storia sempre il suo alto costo da pagare.
Di contro la pochezza della vita condotta, però, quale nobiltà d’animo.
Il valore e il senso della sua amicizia: ‘Negli anni della fame, se Marina aveva sei patate, me ne portava tre’, così il vecchio poeta suo amico, come riferisce Serena Vitale.Riconoscere l’alto valore poetico altrui, e scriverlo, facendolo risaltare, pubblicamente senza nessuna remora è un'altra qualità del carattere spirituale. È il caso di Anna Achmatova. Così ne scrive Marina, mettendone sul podio il grande sentimento poetico di Anna:

“…con i versi:

Sulla mano destra ho infilato
Il guanto della mano sinistra-

In un sol colpo ci dà tutto il turbamento della poesia lirica e della donna -tutta l’empiria dell’amore!- con un sol tratto di penna immortala l’eterno gesto nervoso della donna e del poeta, che nei grandi momenti della vita dimenticano sempre quale si trovi a destra e quale a sinistra – e non solo il guanto ma anche la mano, la terra – che di colpo perdono ogni sicurezza…


Prima di lei nessun poeta aveva reso così un gesto. E nessuno dopo di lei
.” *
Quale meravigliosa sensibilità d’artista, di profondità di analisi critica.
Per inciso la Achmatova “non ricambiò mai, almeno esplicitamente, la devozione della Cvetaeva nei suoi confronti” (Serena Vitale).
L’essenza vitale di Lei si può cogliere, a parer mio, più che nei versi, in quelle sue stupende lettere, raccolte sotto il titolo di ‘Le notti fiorentine’ e, sebbene in tono meno intenso dell’anima e con incidere più teoretico, nei suoi notevoli scritti di estetica, raccolti nel volume ‘Il poeta e il tempo’ (l’analisi critica, in particolare dello stile ma più che altro del mondo poetico di Pasternak e Majakovskij, lascia senza parole. È un iceberg della visione di due mondi poetici, che dalla profondità sommersa li porta alla luce e alla contemplazione della coscienza, come nessun occhio umano riuscirebbe a scrutare. Non è possibile per questo saggio (L’epos e la lirica della Russia contemporanea) citarne dei brani. Sarebbe un delitto. Bisogna leggerlo, leggerlo tutto.
Dicevo de ‘Le notti fiorentine’. Qui non ci sono le minute, le limature come per le poesie.
Sono frammenti di anima che esplodono spontanei e si disintegrano nell’animo del lettore (ognuno di noi), lasciando una scia di malinconica ma luminosa possanza di amore.
Non è un lavoro scritto con la penna al tavolino, non è grammatica, non è sintassi, non è verso …è un meteorite che infiamma in incandescenza improvvisa, fulgorante l’anima di ognuno di noi.
Esageratamente eccessiva nel crearsi fantasiosi idoli amorosi, inesistenti negli amanti reali, un fiume senz’argine nel ripudiarli e passare e sublimare altri amori, d’irruente e passionale vena poetica, così all’amante/amore di un tempo, colpevole solo di non avere la sua spiritualità; ma qui è come per le biografie, non importa di chi il torto di chi la ragione o la matrice spirituale/passionale…astrarre…astrarre e lasciarsi trasportare dal passo profondo della penna e dall’anima che vi aleggia:

Se non mi dimenticate come io vi dimentico è perché non mi avete mai subita come io vi subivo. Se non mi dimenticate del tutto, assolutamente, e perché non c'è nulla di assoluto in voi, neppure l'indifferenza, io ho finito col non riconoscervi, voi non avete mai cominciato a conoscermi. Se io ho finito col dimenticarvi, voi non mi avete avuto abbastanza, dentro di voi, per dimenticarmi.
È l'anima che si vendica ritirandosi da voi (da chi abitava, da chi rivestiva ancor più di quanto il mare non rivesta la riva), ed eccovi ora nudo come una spiaggia con i resti della mia marea — zoccoli, assi, tappi, frantumi, pietruzze — le mie poesie, con cui giocate come il bambino che voi siete. E l'anima che si vendica, accecandomi fino a farmi dimenticare i vostri tratti, illuminando quelli reali, che non avrei mai amato.”. **


Leggere con un occhio la biografia e con l’altro l’opera? Non esistePerché, come scrive Marilena Rea, nella sua delicata ma accorata introduzione all’epistolario Cvetaeva-Rilke: “Questo libro è per chi almeno una volta nella vita si è punto con la poesia. Cosa potrai trovarci tu, che non hai mai sognato di volare?”. ***

Il giorno 31 agosto, una domenica del 1941, Marina salì su una sedia, assicurò una corda a una trave del soffitto, e s’impiccò. “Lasciò un biglietto, poi scomparso negli archivi della milizia.”
Nessuno andò ai suoi funerali. La buttarono in sepoltura, senza lapide, senza nome, in una fossa comune.
Nel 1960, sua sorella Anastasia, poté recarsi nella località del cimitero. Cercò, cercò ma invano dove potesse essere il punto preciso della sepoltura. Alla fine fece porre, in un punto qualsiasi del luogo, una croce con la scritta “In qualche parte di questo cimitero è sepolta Marina Ivanovna Cvetaeva”.
A lungo si è ritenuto che il suicidio fosse conseguito a un forte stato di depressione.
Soltanto recentemente, anche questo dato è stato corretto, per merito dell’indagine di Vittorio Strada. A seguito del rifiuto, che chiaramente avrebbe dato alla proposta della polizia di stato di diventare loro delatrice e sapendo che tale rifiuto avrebbe significato l’internamento per lei nel gulag e, soprattutto, sottoposto la vita e la libertà del proprio figlio all’arbitrio assoluto della polizia, Marina dovette prendere la decisione fatale (riporto il link nella bibliografia in calce).

Bibliografia dei principali testi e articoli consultati, con i riferimenti delle citazioni:

‘La fabbrica della parola’, Manni editore 2011, di Raffele Urraro, dove ho trovato il riferimento alla Cvetaeva, che mi ha fatto mettere da parte quel certo qual senso di misoginia per la poesia/poete, con le eccezioni del caso (anche viventi, amiche, pochissime, quasi nulle);

* Marina Cvetaeva. Il poeta e il tempo’, a cura di Serena Vitale, Adelphi, 1984;

** Marina Cvetaeva, ‘Le notti fiorentine’, a cura di Serena Vitale, editore Voland s.r.l. Roma, 2011;

*** Marina Cvetaeva. ‘A Rainer Maria Rilke nelle sue mani’, a cura di Marilena Rea, Passigli editore, 2012;

Marina Cvetaeva. ‘Nemmeno sapevo di essere poeta’, ZoomPoesia, Feltrinelli;

‘Lettere d’amore senza incontrarsi’:

http://www.corriere.it/cultura/10_agosto_17/elzeviro-capriolo-lettere-amore_b2c0f288-a9d1-11df-8b1f-00144f02aabe.shtml

Marina Cvetaeva. ‘Scusate l’amore. Poesie 1915-1925', a cura di Marilena Rea, Passigli editore, 2013;

‘Cvetaeva, il suicidio prima del gulag’, articolo di Vittorio Strada, Corriere della sera, 7 aprile1994

http://archiviostorico.corriere.it/1994/aprile/07/Cvetaeva_suicidio_prima_del_gulag_co_0_9404072571.shtml

‘L’epistolario di Marina Cvetaeva’, di Valeria Ferrario, “Quanto più ci si immerge nella lettura di queste lettere - le lettere a Lann - tanto più ci si convince che queste lettere occorre considerarle un genere poetico originale.”, apparso nel numero 3 del 1998 nella rivista Slavia, pagg. 27-42.
http://www.slavia.it

Segnalo anche un’ottima biografia come prima lettura su BiografieOnline:
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=300&biografia=Marina+Cvetaeva

paolo patrone, Baceno, agosto 2015.

Citazioni nel corpo dell'articolo autorizzate (Serena Vitale).

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