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"La pelle dell’orso" di Marco Segato

La locandina del film è promettente, con Marco Paolini e la sua immagine immane sulla natura dolomitica, certi poster e certi nomi promettono già buoni film.

la pelle dell'orso

Vi è riportata la frase dello scalatore americano Royal Robbins: Le montagne restano immobili, siamo noi che dopo un’avventura non siamo più gli stessi. La frase completa era preceduta da Scalare non serve a conquistare le montagne ma nel film, e nel libro omonimo di Matteo Righetto da cui è tratto, la scalata potrebbe essere quella di Domenico (Leonardo Mason), 14enne che si riavvicina al proprio papà Pietro (Paolini), duro, scorbutico e comunemente ritenuto un fallito nel paesino della Val Zoldana, quella dei “ciodarot” (fabbricatori di chiodi). L’avventura che il ragazzo vive è quella di accompagnare il padre nella caccia ad un terribile orso, el diaol, ne tornerà più grande, non più bocia. Papà Pietro ha affrontato la terribile impresa per una scommessa dal padrone della cava dove lavora, 600.000 lire se accoppa l’orso, altrimenti lavorerà un anno per lui “a gratis”: non è tipo, Pietro, da riqualificarsi agli occhi del padrone che lo ritiene un cojon, fatto e finito o una bestia ( và a casa!), ma è convinto che altri non sappiano nulla di come cacciare un orso.

Per Pietro sarà un’educazione sentimentale la vicinanza di quel figlio, lui ormai disabituato ad affetti, che ha perso la moglie in circostanze misteriose, che ha vissuto vari anni in galera perché, par di capire, un uomo girava intorno alla sua Caterina, bella e brava moglie ma che con gli uomini non ci sapeva fare e quello …è morto. Domenico deve riconoscere un valore all’uomo scorbutico, pure se vivono nella stessa casa ma ognuno per proprio conto, il ragazzo è solo e ha imparato presto a darsi da fare, lavorare nei campi e tirare col fucile.

L’”impresa” della caccia al diaol sarà cruenta ma tiene naturalmente in ansia per tutto il tempo del film, non si può non parteggiare per quei due e per il loro rapporto, perché si conoscano e Domenico sappia di più della sua mamma mai conosciuta. Le Dolomiti vengono riprese a lungo e lentamente, come ad intercalare il racconto, sono maestose, silenziose e severe, quasi a significare la severità della vita stessa. E’ il primo lungometraggio del regista Marco Segato e tutta la compagnia è veneta verace: ci sono anche Paolo Pierobon e Mirko Artuso, indimenticati attori di Piccola Patria, come la apparentemente coriacea Lucia Mascino, qui dai tratti duri di montagna ma dal cuore tenero. Il film è una piccola perla.

Commenti all'articolo

  • Di Alfredo 1 (---.---.---.248) 14 novembre 2016 15:42

    E’ facile cadere in affermazioni che possono apparire scontate e persino superficiali ma il film io l’ho trovato una metafora dell’uomo e dei suoi sentimenti. L’orso è la vita, imprevedibile, astuta e persino a volte a noi nemica ma superarla vuol dire riconoscere in essa i valori e i sentimenti che ci sono a noi più vicino e dei quali spesso ci dimentichiamo. Le Dolomiti sono solo lo scenario inevitabile della bellezza e maestosità della vita e di tutto ciò che ci è stato creato attorno a noi e dentro di noi. Grande Paolini, grandi tutti. Un film da guardare e da gustare.

  • Di Angelo Umana (---.---.---.197) 14 novembre 2016 22:41

    Grazie Alfredo, condivido! L’argomento centrale è il sentimento, ma per me quello che lega il figlio al padre, perciò lo vuol seguire. L’orso ... Paolini stesso in un’intervista diceva che è il reietto, l’emarginato, come lui, Pietro. A me le Dolomiti belle e severe ricordano la severità della vita stessa. Sprizza salute il cinema italiano, vero???!!!

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