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La musica vive di vita propria, anche al cinema

I caratteri di un’opera cinematografica sono in buona parte dovuti ad elementi di tipo estetico. Essi trapelano, si lasciano suggestionare e risaltano, talora con prepotenza, quando nel filmico entrano in campo, senza subire limitazioni, l’estro e le esperienze intellettuali e di vita di chi dirige e quelle di ciascuno degli appartenenti al cast degli attori coinvolti in vari ruoli nell’intreccio di scene che costituiscono la trama dell’opera. Non vi è ‘bellezza’ e mancano le emozioni in un film, quando c’è inerzia e mancanza ingiustificata di azione e di elementi scenografici. Nel campo del cinema ogni esperienza ed ogni sensibilità artistica individuale si tramutano in una esperienza estetica di tipo peculiare: l’esperienza cinematografica, il film, appunto.

E’, questa, una regola costante, che può essere applicata tanto ai film di Michelangelo Antonioni quanto alle opere di Rainer Werner Fassbinder, di Abel Ferrara e di John Cassavettes, se mi è consentita la citazione di alcuni dei cineasti che preferisco. L’opera cinematografica si serve non solo di componenti marcatamente estetiche, ma contiene significati e trasmette messaggi che possono essere più o meno complessi. Quanto più denso di concetti e di valori risulterà essere un film, tanto più l’opera presa in esame avrà necessità, per essere pienamente compresa, di fornire emozioni e di utilizzare accorgimenti estetici supplementari che possano facilitare l’ ‘accesso’ al significato che la stessa opera si propone di rappresentare in un lasso di tempo necessariamente ristretto. Gli elementi di carattere estetico rimangono a lungo impressi nella nostra memoria; rimandano così, di volta in volta, alle emozioni che essi stessi hanno suscitato in origine e che abbiamo custodito gelosamente dentro di noi. Un brano musicale, per esempio, può trasmettere vibranti emozioni e permettere, quando lo si riascolti successivamente, l’immediata loro rievocazione. Lo ha spiegato molto bene Silvia Bencivelli, che sul potere emotivo della musica ha scritto:

 ‘A capire per primo la sua importanza fu il regista sovietico Sergej Eizenstein. Ritenendo che il pubblico fosse contemporaneamente osservatore e ascoltatore e che incorporasse immagini e suoni nello stesso momento, fondendoli in un’unica sensazione, l’autore di La corazzata Potemkin decise che, così come si montavano le immagini di un film, andavano montati anche i suoni. Fu così che nacquero le colonne sonore: un genere musicale a se […] . Un compositore di colonne sonore è vincolato ai tempi delle produzioni cinematografiche, ma soprattutto in generale deve seguire la storia scritta da un altro. Spesso, il risultato è che la colonna sonora non ha molto senso alle orecchie di chi non ha visto il film, perché la musica nasce come supporto alle immagini ed è pensata per supportare informazioni visive. E’ una colonna sonora, appunto: un sostegno musicale alle immagini, anche se c’è chi ne ha fatto un’arte, come Ennio Morricone, con le sue oltre cinquecento colonne sonore nel corso di una lunga e premiata carriera. Viceversa, un film senza colonna sonora perde molta della sua presa emotiva: il pubblico si immedesima meno nella storia, il suo livello di attenzione cala, così come la sua capacità di memorizzare le informazioni trasmesse dalle immagini’ .

Così chi, tra gli appassionati di musica pop, ha dimenticato le immagini di Pink Floyd at Pompei (Gran Bretagna 1970, regia di Adrian Maben), la performance di Jimi Hendrix al Monterey Pop Festival e nell’omonimo film-documentario (Stati Uniti 1968, regia di D. A. Pennebaker), o quella di Eric Clapton in The Last Waltz (Stati Uniti 1978, Regia di Martin Scorsese)? 

Theodor W.Adorno ha scritto:

‘La musica per film dovrebbe lampeggiare e scintillare. Dovrebbe scorrere quasi così rapidamente, da accompagnare l'ascolto fugace trascinato via dall'immagine, senza rimanere indietro con sé stessa. […] Nella sua attitudine a sparire subito, la musica riprende tuttavia l'esigenza in cui consiste il suo inevitabile peccato cardinale nel cinema: l'esigenza di esserci’.

La musica è, quindi, e tale rimane, anche al cinema, un’arte che erompe attraverso proprie e peculiari modalità espressive, un’arte che vive di vita propria, in perfetta autonomia. La musica, in fondo, nella visione del filosofo tedesco sembra non amalgamarsi mai completamente con l’immagine cinematografica rimanendo anzi, rispetto ad essa, sempre ben distinta. Si richiama qui l’opera di grandi musicisti che hanno composto specificamente o addirittura, in qualche caso, quasi esclusivamente per il cinema. Tra essi non possono non essere citati Ennio Morricone, autore di centinaia di commenti sonori a film e vincitore di numerosi premi, Nino Rota, che ha legato il proprio nome soprattutto al cinema felliniano, Henry Mancini (indimenticabili le colonne sonore di film come La Pantera rosa, Colazione da Tiffany e Victor Victoria), e poi John Barry, Armando Trovajoli, Pino Donaggio e John Williams. E’ un dato di fatto: i commenti sonori composti dai musicisti citati e da altri autori di colonne sonore, nella gran parte dei casi vengono ‘ascoltati’ in maniera quasi accidentale durante la proiezione delle opere cinematografiche cui sono connessi. E’ assai più frequente, invece, la riproduzione e l’ascolto di musica da film da supporti tecnici di vario genere registrati appositamente per consentire un ascolto più attento; ciò a conferma del fatto che si ascolta anche la musica da film all’interno di spazi temporali specificamente dedicati alla musica quale espressione artistica che gode di assoluta indipendenza.

 

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