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La miniera Carbosulcis di Nuraxi Figus non chiude (per ora), ma sarà solo una discarica dell’ENEL?

“Un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto” , così Giancarlo Sau della RSU Carbosulcis ha definito il risultato dell’incontro di venerdì scorso con il ministro, parlando ai minatori che hanno occupato la miniera di carbone di Nuraxi Figus (la x si pronuncia come una j), una frazione del comune di Gonnesa, poco distante dall’area industriale di Portovesme dove ha sede un'altra azienda in crisi, l’Alcoa..

Se però quel bicchiere mezzo pieno è servito a far approvare la fine dell’occupazione della miniera da parte dell’assemblea dei lavoratori della Carbosulcis riuniti in un’affollata e attenta assemblea nel locale della mensa aziendale, quello mezzo vuoto ha confermato i dubbi su come assicurare sulle prospettive oltre il 2013, oltre l’estrazione pura e semplice di un carbone che non vuole acquistare nessuno.

Qualche lavoratore ha sottolineato come l’accordo nebuloso nasconda l’ennesima fregatura soprattutto per i giovani e che sarebbe stato meglio condurre un’unica battaglia con gli operai Alcoa per trovare una soluzione complessiva da una posizione di forza. Ed è anche sotto l’onda di queste legittime preoccupazioni, che la stessa assemblea, temendo le molte chiacchiere di partiti e governo regionale e i pochi fatti, ha approvato il boicottaggio del conferimento di ceneri provenienti dalla vicina centrale Enel sino a quando la Regione Sardegna non convocherà i lavoratori. Non è rinviabile la definizione di un piano di uscita credibile dalla crisi epidemica occupazionale dell’ultima miniera di carbone italiana, inserita in uno scenario drammatico che sta strangolando l’intero Sulcis Iglesiente.
 
Appare esplicita l’intenzione dei lavoratori di giocare come arma vincente il fatto di mettere in difficoltà la centrale elettrica Enel nei cui piazzali si stanno accumulando da giorni pericolosi mucchi di polveri, gli scarti finali del processo di combustione che sino a qualche giorno fa finivano, dopo trattamento, nei piazzali della miniera e tra qualche tempo potrebbero essere ospitati nella sua stessa pancia, al posto del carbone estratto.
 
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Nuraxi Figus - Ingresso Carbosulcis

Ma c’è un futuro diverso dalla discarica per l’impianto di Nuraxi Figus? Forse.
Nell’assemblea si è fatto riferimento alla realizzazione, con fondi CIP 6 (incentivi per chi produce energia da fonti rinnovabili e assimilate, legge 99 del 2009), di una centrale elettrica da 350 MW per la produzione di energia elettrica, a basso impatto ambientale, destinata alle aziende dell’area e che, secondo il progetto della Sotacarbo,dovrebbe catturare la CO2 dell’autocombustione del carbone, immetterla a grande profondità e qui ottenere, con alcuni processi, gas “metano” da utilizzare nelle turbine.
 
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Assemblea lavoratori Carbosulcis 3 settembre 2012

E pensare che il carbone, qui nel Sulcis, ha una storia lunga che inizia alla metà dell’ottocento per poi svilupparsi durante il fascismo, quando nacque Carbonia. Gli occupati sul finire degli anni trenta arrivarono a circa 18.000 unità. Certo all’epoca l’intervento delle macchine era marginale, alcune fasi di estrazione erano esclusivamente manuali. Ma quel carbone “Sulcis” (come si può leggere sul sito aziendale Carbosulcis) è definito “carbone sub-bituminoso a lunga fiamma, secondo la classificazione americana ATSM D 338, che in funzione del grado di impurità classifica il carbone in antracite, bituminoso, sub-bituminoso e lignite” - ha visto nel dopoguerra un progressivo disimpegno dell’Enel che prima ha utilizzato nella vicina centrale di Portovesme olio combustibile e successivamente il più economico carbone cinese. Alla prima azienda energetica nazionale ed europea non interessa né il carbone Carbosulcis né la partecipazione allo sviluppo di progetti innovativi nel distretto del Sulcis, ritiene vantaggioso solo disfarsi delle scorie della combustione.
 
Comunque sia, è iniziata l’ultima corsa per la Carbosulcis, nata 35 anni fa, una sfida decisiva per i circa 450 lavoratori impegnati in un duro lavoro nel sottosuolo, ma anche per dimostrare che un progetto di conversione da oltre un miliardo e mezzo di euro può, se gestito da manager capaci oltre che attenti al rispetto delle normative ambientali e alla salute comune, avviare una fase nuova, più pulita e replicabile nella utilizzazione del carbone.
 
Nel lasciare la miniera, dalla strada, tra siepi di fichi d’India ormai maturi e rovi di more appassite, tra campi desolatamente incolti, sono ben visibili alte torri in acciaio con i generatori azionati dai rotori dalle lunghe pale che girano lentamente spinte dal debole vento di maestrale.
Una sfida ravvicinata tra un antico combustibile fossile in cerca di un futuro pulito ed una nuova sorgente di energia, poco rispettosa del paesaggio ma con inquinamento nullo? Un interrogativo in attesa di risposte urgenti e serie perché qui è in gioco la vita di operai e famiglie, di una comunità in cerca di qualche piccola certezza.
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Parco eolico (visto da miniera Carbosulcis)

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