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La divisione dei poteri è solo un mito

Le assemblee in università diventano sempre più chiare nel guardare la realtà che tutti noi viviamo. Questo gran chiasso che si fa sulle riforme fare le riforme, non riuscendo più a comprendere che lo Stato non è più riformabile nell’assetto attuale in quanto ha esaurito il suo ruolo, la sua funzione, le uniche riforme che si possono fare sono quelle che riguardano sia l’ art. 1 della Costituzione che l’ art. 2 della medesima.

Con Montesquieu si afferma la mitica divisione dei poteri, la concezione moderna della giustizia ha origine napoleonica con il Code Civile ecc.

Anche il concetto di cittadino era un termine sconosciuto, come pure, individuo, che di fronte alla legge era solo suddito; la stessa espressione soggetto di diritto, che oggi significa detentore di diritto, nel tempo Medievale significava assoggettato (sub iectus). Lo stesso concetto di proprietà era diverso nella Francia pre-rivoluzionaria dove esistevano più di dieci tipi di possedimenti. I concetti quali la proprietà assumeranno diverso rilievo con l’avvento della borghesia, diverso ed estraneo al pensiero medievale, con il Codice napoleonico all’art. 544 che si afferma: le droit de Jouir et disposer des choses de la manière la plus absolue – il diritto di godere e disporre delle cose nel modo più assoluto. Il triplice motto di libertè, ègalitè, propriètè, che renderanno il cittadino maître et possesseur dell’intero mondo sotto tutti i suoi molteplici aspetti. Con il Codice del 1804 la legge diventa Uguale per Tutti. Si fa strada l’idea di una legge generale, che promana direttamente dal legislatore, di fronte alla quale tutti i cittadini sono perfettamente uguali. Mentre nell’antico ordinamento il giudice non si limitava ad applicare le norme, ma di queste si serviva per creare il diritto, con l’avvento del Codice la legge diviene uno strumento da applicare in modo meccanico ed acritico, le sentenze non saranno altro che la conclusione di un sillogismo di cui la base fondamentale è la legge, mentre il caso particolare acquista solo una importanza secondaria, marginale.

Poiché è il Parlamento che si assume in esclusiva il potere di legiferare, la legge, immediatamente diviene strumento della politica e nessun giudice potrà più sottrarsi al suo dettame; anche nel caso in cui la ritenesse immorale, liberticida, ingiusta. Realizzando così la completa subordinazione dell’attività giudiziaria al controllo politico, il giudice da interprete della legge ne diviene un semplice esecutore.

Il filosofo tedesco von Radbruch nel suo trattato di filosofia del diritto nel 1932 scriveva: "È un dovere professionale per il giudice rendere effettiva la volontà della legge, offrire in sacrificio la propria intuizione del diritto al comando giuridico dell’autorità". Questo concetto della funzione del giudice come di totale e semplice esecutore della legge, in Italia trovò sua massima espressione nel Tribunale Speciale Fascista. Così il Codice, come corpo dottrinario della nuova classe al potere, segnò la vittoria definitiva della borghesia sull’ancien règime e ruppe irrevocabilmente con i sistemi di diritto pre-borghese, dando l’avvio, in tutta Europa alla codificazione delle leggi.

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