• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cronaca > La difesa di Dell’Utri. Parte 1. Mangano, droga, affari e cavalli

La difesa di Dell’Utri. Parte 1. Mangano, droga, affari e cavalli

«Io sono una povera vittima» ha detto Marcello Dell’Utri durante una pausa del processo. Venerdì scorso sono iniziate a Palermo le arringhe difensive degli avvocati del Senatore, imputato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. Tra i temi trattati, un’intercettazione, che la difesa ritiene «un tema ormai superato», in cui la «povera vittima» parla di affari e cavalli con Vittorio Mangano. Quei cavalli, secondo l’accusa, sarebbero partite di droga.

La difesa di Dell'Utri. Parte 1. Mangano, droga, affari e cavalli

È il 1980. Marcello Dell’Utri è uscito da poco dal fallimento della Bresciano, società che amministrava per conto del gruppo Inim, impresa dai «capitali mafiosi» facente capo a Filippo Alberto Rapisarda, uomo legato all’ambiente di Cosa Nostra, in affari con Vito Ciancimino (secondo alcuni pentiti, il senatore berlusconiano sarebbe servito «a garantire gli interessi mafiosi» nella società). Il 14 febbraio riceve una telefonata da Vittorio Mangano, il mafioso amico che aveva fatto assumere come fattore nella villa di Berlusconi e che continuerà a considerare pubblicamente «un eroe» fino ai giorni nostri. Mangano è in albergo e lo ha chiamato per proporgli «il secondo affare che ho trovato per il suo cavallo». Un affare con un non meglio precisato Tony Tarantino, che Dell’Utri aveva già contattato telefonicamente (secondo Dell’Utri, Tarantino «era uno che faceva affari di vario tipo, di piccolo cabotaggio, ma leciti», mentre Mangano racconterà di averlo conosciuto a Palermo e che quando stava a Milano lo accompagnava in clinica a fare degli esami medici). Per quell’affare, però, ci vogliono i «piccioli», i soldi. E Dell’Utri, nelle condizioni in cui versa («Sono veramente in condizioni di estremo bisogno»), di piccioli proprio non ne ha. Allora Mangano, dopo aver specificato che «senza piccioli non se ne canta messa», gli suggerisce di chiederli «al suo principale Silvio», ma Dell’Utri gli risponde che «quello è un santo che n’ sura», cioè un santo che non suda, non sgancia. Alla fine si mettono d’accordo per fissare un incontro.

Ora, intendendo per cavallo quel «mammifero erbivoro, con il collo eretto ornato di criniera», il senso di questa telefonata rimane indecifrabile. Appare all’accusa molto più chiaro alla luce delle dichiarazioni che rilascerà Paolo Borsellino a due giornalisti francesi, poche ore prima dell’attentato a Falcone: «Il Mangano [si occupava] di droga... Vittorio Mangano - se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti - risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo, nel corso della quale lui, conversando con altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane, preannuncia o tratta l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come "magliette" o "cavalli". […] Perché c’è, se ricordo bene, nell’inchiesta della San Valentino, un’intercettazione fra lui e Marcello Dell’Utri in cui si parla di "cavalli". Beh, nella conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errore, si parla di cavalli che dovevano essere mandati in un albergo, quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli, me li recapita all’ippodromo o comunque al maneggio, non certamente dentro l’albergo». Ma Dell’Utri confermerà che l’affare riguarda proprio un cavallo vero che si chiama Epoca, anche se l’unica documentazione che fornirà ai magistrati è una «scrittura privata, apparentemente risalente al 1974 (priva, però, di qualsiasi data certa) e asseritamente ritrovata solo di recente nella biblioteca di villa Casati, concernente l’acquisto da parte del Mangano di una cavalla purosangue da potere di tal Pepito Garcia» (Sentenza Dell’Utri, pp. 495-496).


Di seguito pubblichiamo le argomentazioni della difesa di Marcello Dell’Utri. Gli avvocati del senatore sono convinti che il cavallo cui si riferiva Vittorio Mangano sarebbe un cavallo vero e che il tema dell’intercettazione è ormai «superato». 
 

AVV. MORMINO: «È un tema assolutamente ormai superato che oggi il procuratore generale ha ritenuto di riprendere in qualche modo ma che, così come ha sentenziato il tribunale, non è possibile riproporre ancora pretestuosamente il valore equivoco del tema trattato con riferimento all’uso del termine “cavallo”, che avrebbe dovuto costituire l’elemento significativo addirittura del coinvolgimento del Senatore Dell’Utri in attività di traffici di stupefacenti perché con il termine di cavallo si intendeva la droga, e quindi quando Mangano parlava con Dell’Utri, o Dell’Utri parlava con Mangano di cavalli, parlava di droga! Cosa che ancora fa aleggiare il procuratore generale nel momento in cui è ormai definitivamente accertato che esisteva effettivamente il cavallo, il cavallo Epoca, che vi era questa trattativa per la vendita del cavallo. È stato definitivamente accertato anche in quella intervista del povero dottore Borsellino quando chiarisce che il termine cavallo usato in quella telefonata può non essere vero. Tali chiarimenti che sono stati dati dal dottore Fiore della Criminalpol che aveva svolto le indagini […] Il riferimento di Mangano, sottolinea il procuratore generale, è al «secondo affare [per il suo cavallo]». Allora ci sarà stato il primo? Qual era il primo affare? Però [il procuratore generale] non legge consecutivamente l’espressione, perché Mangano dice «il secondo affare che ho trovato per il suo cavallo», non con riferimento ad altri affari di altra natura perché sempre del cavallo parliamo. E allora questi temi sono stati ormai superati anche ed infine, signori della Corte, dalle decisioni giurisdizionali che si sono avute in proposito. Dalla decisione di archiviazione del dott. Isnardi, che aveva convocato dapprima il Senatore Dell’Utri per avere spiegato contenuto di questa telefonata e per avere capito che si trattava del cavallo e non della droga, ma soprattutto dalle conclusioni alle quali è pervenuto il giudice istruttore Della Lucia che intorno a questa vicenda ha indagato e che ha concluso l’assoluta esclusione di ogni ipotesi del coinvolgimento del Senatore Dell’Utri in queste attività. E per rendere definitivamente efficace la nostra tesi, cioè dire che questo è un argomento ormai accantonato e non è più recuperabile neppure nel tentativo compiuto in questa sede dal procuratore generale, basta leggere la pag. 483 della sentenza, laddove il tribunale dice «è opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a “cavalli”, termine criptico usato dal Mangano nelle intercettazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto, evidenziato nel corso di quelle indagini – che sono state lunghissime […] nel tempo, nei contenuti che hanno scandagliato su tutta la situazione relazionale del Senatore Dell’Utri e che hanno portato al suo proscioglimento in quella sede proprio per quella ipotesi di associazione per delinquere […] – tra Marcello Dell’Utri e i diversi personaggi attenzionati dagli investigatori».

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares